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Camorra e politica, a Sant’Antimo condizionamenti mafiosi ultradecennali

Le indagini della Procura confermano che i condizionamenti mafiosi e illeciti a SantAntimo sono stati sistematici, massivi e prolungati nel tempo, persino ultradecennali. I clan hanno fatto uno straordinario salto di qualità e messo da parte la conflittualità interna per seguire meglio i propri affari, addirittura creando una sorta di cassa comune, chiamata “cappello”.
A cura di Pierluigi Frattasi
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Condizionamenti mafiosi e illeciti a SantAntimo sistematici, massivi e prolungati nel tempo. È quanto emerge dagli atti dell'inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Napoli, coordinata dal Procuratore Giovanni Melillo, che ha condotto a 59 arresti nella zona di Sant'Antimo, a Nord di Napoli, di persone ritenute affiliate ai Clan Puca, Verde e Ranucci. Dopo 30 anni, il quadro indiziario che le indagini hanno consentito di ricostruire dimostra che queste organizzazioni hanno fatto messo da parte la conflittualità interna, proiettate alla condivisione degli affari.

I tre clan avevano la cassa comune

I tre clan, per quanto autonomi come strutture, si sono rivelati coesi dal punto di vista delle strategie di accumulazione patrimoniale, tanto che addirittura l'indagine ha dimostrato che avevano messo in piedi una sorta di  cassa comune chiamata ‘cappello', dove confluivano i proventi illeciti. In modo da prevenire alla radice ogni rischio di incomprensione. In particolare i Puca, secondo gli inquirenti il maggiore dei gruppi criminali, avrebbero esercitato un invasivo condizionamento della pubblica amministrazione. Gli investigatori hanno ricostruito gli illeciti negli ultimi anni molti gravi, anche di natura corruttiva, sulla gestione delle pratiche di condono edilizio e l'attività dell'ufficio tecnico comunale di Sant'Antimo nell'edilizia e nell'urbanistica che incontrava gli interessi speculativi delle organizzazioni criminali e di chiunque fosse intenzionato a edificare in violazione della legge. E nella gestione anche degli appalti delle opere pubbliche. I carabinieri hanno ricostruito numerose procedure di appalto del valore di circa 15 milioni di euro.

Attività di depistaggio nelle indagini

Le indagini non sono state semplici. Ma hanno dovuto superare ostacoli posti da una attività, che la Procura ha definito di depistaggio, riconducibili anche all'agire di militari dell'Arma dei carabinieri che per anni hanno tradito il giuramento di fedeltà alla Repubblica e all'istituzione alla quale appartengono. È un settore in cui già nei mesi scorsi erano stati eseguiti alcuni provvedimenti cautelari che riguardano 2 carabinieri, per uno il giudice ha ritenuto di applicare la custodia in carcere: era già agli arresti domiciliari.

Intimidazioni ai collaboratori di giustizia

Fondamentale per le indagini è stato il contributo di alcuni collaboratori di giustizia. In particolare, nei confronti di Claudio Lamino, che è stato nel corso del tempo oggetto di tentativi di condizionamento. Sono stati compiuti attentati dinamitardi ai danni di suoi familiari. E nell'agosto del 2016 è stato vittima anche di un tentato omicidio, come ricostruito dalle indagini.

La violenza per condizionare le elezioni comunali

L'attività di indagine ha fatto luce soprattutto sull'intreccio tra il mondo della politica e quello della criminalità, evidenziando il ricorso alla violenza per condizionare la vita politico amministrativa del Comune di Sant'Antimo. Dopo aver ricostruito le contaminazione camorristiche delle tornate elettorali del 2012 e del 2017, le indagini hanno anche consentito di documentare il tentativo di imporre le dimissioni di alcuni consiglieri comunali per determinare l'impossibilità di funzionamento del consiglio e quindi lo scioglimento che poi è avvenuto per condizionamento mafioso lo scorso marzo.

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