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Opinioni

Cosa penso quando chiamate prostitute tutte le ragazze nigeriane

Una ragazza nera che cammina da sola su di un marciapiede non è un “invito”. In Brasile non troverete sempre una “sorpresa”, le polacche non sono tutte qui per vostro marito, la transessualità non è una perversione che vi invita a sfruttare la condizione fisica di una persona come se fosse un oggetto.
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Spesso non diamo la giusta importanza alle parole: le utilizziamo per esprimere un concetto, per comunicare con gli altri, e una volta fuori dalla nostra bocca possono essere fraintese e, molto spesso, assumere un altro significato. Ciò che conta è prendersi le proprie responsabilità. È ora di smettere di pensare che alcuni termini possano essere utilizzati perché va bene, perché lo dicono tutti, perché uno stereotipo rende l’idea.

Sempre più spesso mi capita di sentir usare la parola “nera” o, più nello specifico, “nigeriana”come sinonimo di prostituta.

E nel linguaggio comune andare a nigeriane è «andare a prostitute». Non ci si fa nemmeno più caso quando lo si usa, perché è un modo di dire, perché rende l’idea. È un triste risultato di quello che negli anni è divenuto uno stereotipo culturale. Il fenomeno della prostituzione nigeriana con gli anni ha preso una piega significativa sul suolo italiano, ma ciò non giustifica nessuno nell’identificare una persona come tale solo per la provenienza. Potrei usare lo stesso paragone per quanto riguarda l’aspetto di genere, quando “transessualità” non è più una condizione di corporeità della persona ma un ramo della prostituzione.

Siamo abituati a vedere alcune minoranze nell’aspetto più generale, sempre lontani da noi e dalla nostra quotidianità. È divenuto facile macchiare un’intera comunità con l’errore di uno, renderli tutti uguali. Scoprirete, invece, che l’errore sta nel generalizzare e farlo passare per normale.

Leggere titoli come “prostitute e transessuali” è mortificante. Lo è per chi affronta la propria identità di genere, così come quando “nigeriana” sostituisce prostituita lo è per chi affronta la propria identità. È un aspetto che non viene mai considerato: quello di poter essere offensivi nel rispetto di una minoranza etnica con una semplice sostituzione di parole.

«È gergo», direte.

Io dico che è sessista e razzista, che alimenta l’ignoranza e che quest’idea malsana giustifica un uomo, sconosciuto, ad accostare l’auto accanto ad una ragazza nera che passeggia lungo il marciapiede – non semplicemente perché donna (non solo) ma perché nera. Non c’è scrupolo e non c’è coscienza, perché l’idea di donna oggetto viene ancora più accentuata quando ricade in un ignorante stereotipo razziale.

Succede alle donne nere e alle donne dell’Europa dell’est che vivono in un paese in cui, purtroppo, non c’è ancora una completa integrazione dell’altro. L’alta percentuale che le rivede nel ruolo di prostitute condiziona tutta la sfera sociale di cui fanno parte e, inevitabilmente, dà a voi il diritto di credere che valga per tutte loro.

In Brasile non troverete sempre una “sorpresa”, le polacche non sono tutte qui per vostro marito, la transessualità non è una perversione che vi invita a sfruttare la condizione fisica di una persona come se fosse un oggetto e una ragazza nera che cammina da sola su di un marciapiede non è un invito.

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Sabrina Efionayi. Nata a Castel Volturno nel 1999, Sabrina frequenta il corso di laurea in Culture Digitali e della comunicazione. A quindici anni inizia a scrivere online il suo primo romanzo su una delle più grandi e attive community di autori online. È autrice di Over e di Over 2, pubblicato da Rizzoli nel 2016.
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