I funerali di Genny al Rione Sanità. Quant’è lontana l’Italia vista da qui
La breve vita di Genny Cesarano è finita alle porte del rione, la bara bianca è stata portata a spalla lungo tutta la Sanità e si è fermata alla soglia del quartiere, prima di via Foria, lo stradone che tutto collega e fagocita a Napoli centro. Via Vergini è in un silenzio cupo rotto solo dagli applausi: è impossibile immaginarla così, quella zona che 24 ore al giorno per 365 giorni all'anno non conosce silenzi, travolta com'è da mercatini, auto, scooter, gente che si urla da un lato all'altro della strada. La bara di Cesarano Gennaro, anni 17, si è fermata all'imbocco del rione Sanità in una tiepida mattina di settembre e poi in auto è partita per il Viaggio. Da oggi questo ragazzo sarà solo foto a mare e selfie stampati dagli amici sulle magliette; sarà messaggi sul cellulare conservati per non dimenticare, sarà un albero piantato in fretta in piazza; sarà una data da ricordare per i parenti e da dimenticare per le istituzioni.
Padre Alex Zanotelli è stato dolce nella sua omelia, anzi nell'omelia a modo suo. Sulle panche e a terra, intorno al feretro, c'erano centinaia di ragazzi e bambini in lacrime. Lui li ha tenuti attenti spiegando, non recitando, il Salmo 55. Questo qui:
Ho visto nella città violenza e discordia:
giorno e notte fanno la ronda sulle sue mura;
in mezzo ad essa cattiveria e dolore,
in mezzo ad essa insidia,
e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno.
E che cos'è, questo passo, se non l'esatta descrizione del quartiere di Genny e degli altri. Che cosa descrive se non quell'aria di guerra che ormai da troppo tempo si respira al centro storico di Napoli, dove colpevolmente è stata sottovalutata l'emergenza criminale? Zanotelli ne parla dolcemente e fa sentire bambini anche i più grandi. Qualcuno di loro è padre o madre e piange silenzioso, senza singhiozzare.
Mi agito ansioso e sono sconvolto
dalle grida del nemico, dall'oppressione del malvagio.
Mi rovesciano addosso cattiveria
e con ira mi aggrediscono.
I manifesti funebri di Gennaro Cesarano recitano: «Inaspettatamente è nato al cielo». Come per dire, non ce l'aspettavamo adesso. Non ora, non così. I cartelloni a lutto sono incollati quasi tutti vicini ai manifesti d'una scuola calcio. A diciassette anni dovresti giocare a pallone, altro che morire con un proiettile in corpo. «Non lo spegni il sole se gli spari, Genny Vive» hanno stampato i ragazzi sulle t-shirt.
Le camionette della polizia strategicamente poste ai lati di via Vergini, fra via Arena alla Sanità e via Cristallini, una capillare e invisibile barriera di forze dell'ordine a scongiurare ogni rischio di clamorosa rappresaglia armata durante i funerali. Via le auto in doppia e tripla sosta, via il caos degli ambulanti, vigili urbani ovunque. Alla Sanità così come a Forcella o al rione Traiano un repulisti simile si vede una volta ogni dieci anni. Di solito quando si deve seppellire qualcuno morto prematuramente. E per un anno intero non s'è vista ombra di controllo, di ordine e di prevenzione in quell'area di Napoli, che i giornalisti definiscono efficacemente come «periferia del centro storico». Oggi ‘e guardie ci stanno. E domani? E dopodomani?
«Dio non manderà nessuno a salvarci, toccherà a noi» dice il comboniano Zanotelli che nella preghiera chiama Iddio "Papà", all'uso africano. Viene distribuita un'immaginetta con un putto di marmo e dietro stampata la preghiera all'angelo custode. Poi è la volta di don Antonio Loffredo che parla delle mamme e a loro chiede di esporre un drappo nero ai balconi «fino a quando le istituzioni non se ne occuperanno». «Genny è salito in cielo. Ne siamo sicuri, perché in Purgatorio c'è già stato». Rione Sanità come Purgatorio in terra e qualcosa della terra dei morti c'è, in questa zona di Napoli fatta di tufo, catacombe, ossari, capuzzelle e anime pezzentelle.
I negozi non hanno le serrande abbassate: sono proprio chiusi. "Poppella" dei taralli ha messo i manifestini scritti a mano; l'unico che ha la mercanzia esposta è l'edicola dei giornali, oggi è il rione la notizia del giorno.
Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa. E un ragazzo è un ragazzo è un ragazzo è un ragazzo. E cazzo, lo capisci se ha già fatto il ‘salto', se è entrato nel sistema; lo capisci pure da quelli che vengono al funerale, da com'è il funerale. Non è questo il caso. Genny Cesarano è accompagnato da facce diversissime l'una dall'altra nell'uscita di scena, all'imbocco con via Foria. Nella diversità, ci sono tante facce perbene.
Quant'è lontana l'Italia vista dal rione Sanità. La bara bianca esce di scena e c'è chi ritorna a casa, chi si ferma a chiacchierare. Chi riapre il negozio, chi va a faticare. Resta a bocca asciutta chi avrebbe voluto l'ammuina, la sceneggiata, i motorini rombanti ad accompagnare il morto, striscioni ovunque e cori da stadio. C'erano dei palloncini e le magliette, sì. E c'erano pure i turisti sul bus rosso che hanno fatto le foto a un qualcosa che non si spiegavano, che non hanno capito. «Ma cosa è successo?». «E che deve succedere. A Napoli è morto un ragazzo».