Mi sono smarrita nella Napoli militarizzata di questi giorni.
Era lo scorso mercoledì e mi sono persa! Il percorso da fare era semplice: Via Tribunali – Piazzetta Grande Archivio.
Ma gli spritz e lo stomaco vuoto non sono dei bravi consiglieri e fanno perdere l'orientamento.
Così, insieme ad un mio amico, quel tragitto di pochi minuti si è allungato.
Ed abbiamo iniziato a camminare per quelle strade vuote, definite pericolose, di una Napoli in un giorno infrasettimanale.
Ma non per i militari.
La sola ragione del coprifuoco era l'orario di cena. Noi eravamo gli intrusi in quel silenzio religioso del detto “ quando si mangia si combatte con la morte”.
E così abbiamo oltrepassato la chiesa dei Gerolamini pensando a quanto fosse bella e quanto fosse silenziosa nella sua imponenza. Ma,soprattutto, a quanto fosse un peccato la sua perpetua chiusura.
Ed ancora avanti, tra chiacchiere forse troppo spensierate per poter essere fatte in una città militarizzata! Che ingenui che siamo stati!
Eppure stavamo a nostro agio. E,senza rendermene conto, ci siamo trovati a Forcella.
Non l'avevo riconosciuta. Di sera cambia d'abito. Io che di solito la percorro di mattina, di corsa, per arrivare prima in stazione. E mentre corro per tagliare Corso Umberto, macchine e motorini tagliano la strada e me.
Ed è uno slalom reciproco. Ma tu lo conosci e lo assecondi.
Quella sera no. Eravamo in due e in due siamo rimasti. Mi sono accorta di stare a Forcella solo quando sono passata vicino alla biblioteca di Annalisa Durante. Sarebbe stato dopo poco l'anniversario della morte.
Che bel presidio di legalità. La sensazione di sicurezza che una libreria può dare è ineguagliabile. Anche da chiusa. Perché quel cancello è temporaneo. Sai che domani sarà aperto.
E poi su Via Duomo e mentre attraversavamo la strada, il mio amico ha detto “ girati!” e appena l'ho fatto mi sono ritrovata quel San Gennaro operaio che mi guardava. E mi sono girata più volte a guardarlo. Perché era lui il terzo oltre noi due. Silenzioso spettatore.
E mi sono sentita sicura ancora una volta. La laicità di un dipinto dallo sguardo rassicurante.
Eravamo tutti e tre in una calda sera di febbraio.
E così ancora, Pio Monte di Misericordia. Chiuso anche lui. Da segnare tra le cose da andare a vedere. Perchè non l'ho fatto prima? Le domande irrisolte.
Ed il solo colore di folclore in quelle strade vuote del natale turistico, dei mandolini e del rosso dei cornetti portafortuna, è stato il blu di un panaro. Calato da un terzo piano. Superare anche lui, non essendo noi i destinatari della ammasciata calata dall'alto.
E andare ancora oltre nella Napoli sotto assedio. Superare quello che resta di un vecchio centro sociale.
E poi, raggiungere la meta e la numerosa comitiva mentre il ricordo di quei cinque minuti passati si confonde con le chiacchiere!
Nella Napoli da militarizzare mi sono sentita così sicura quando sono passata vicino ad una biblioteca che non quando, mentre andavo via, ho incontrato quattro posti di blocco vicino Piazza Garibaldi.
Quella passeggiata inaspettata è stata tranquilla, nella Napoli militarizzata. Non penso che se avessi visto una camionetta mi sarei sentita a mio agio come invece è accaduto grazie allo sguardo di un San Gennaro su un muro!
Ed avevo voglia di raccontarla per un semplice motivo. Non abbiamo bisogno di invasioni mimetiche per poter trovare una tranquillità tanto osannata.
Nel mio piccolo penso che la sola invasione che serva è culturale. Ed il bello è che si gioca in casa. Perchè Napoli è assediata da cattedrali storiche, chiuse, che aspettano solo di essere aperte.
Napoli ha tutte le carte in regola per poter riprendersi da sola. Le sue armi sono da sempre la cultura che la pervade ad ogni angolo di strada. Una cultura che come la Chiesa dei Girolamini è chiusa e sbarrata da transenne.
Un giorno accadde che ero fuori il San Carlo. Dei bimbi mi superarono. Andavamo in direzioni diverse. La bagaria all'improvviso. Mi ricordarono le scene di vari film ambientati a Napoli in cui, bande di scugnizzi attraversavano le strade con vivacità e spensieratezza. Senza sapere di essere una nota di folclore tra quelle del mandolino.
Mi hanno ricordato, precisamente, la scena de " le quattro giornate di Napoli". Quando quei ragazzini evadono dal riformatorio e si incamminano, come un esercito, per "andare a combattere".
Dopo quel giorno sono partita. Lontana da Napoli mi sono ritrovata a guardare una scena che non vedevo da tempo.
Sotto un palazzo, c'era un parco con delle giostre. Altalene, scivoli, dondoli. E bambini.
Erano le otto di sera, passate. C'erano un sacco di bambini. Che giocavano e si rincorrevano. Usavano i cellulari come walkie talkie per salvare qualcuno da un mostro, che li, non c'era.
I bimbi non smettono di essere tali per colpa del quartiere nel quale vivono, ma è l'ambiente che circonda loro a non essere ad altezza di bambino.
Le pallottole vaganti sostituiamole con aquiloni che vengono smarriti. O palloncini ad elio che scappano di mano.
Facciamo in modo che la sola stesa da attuare sia quella al grido “tutti giù per terra!”, mentre si canta per un girotondo.
Non militarizziamo, coloriamo.