Esprimere valutazioni univoche sulla potenziale situazione di dissesto del Comune di Napoli a seguito della recente sentenza della Corte Costituzionale è maledettamente complicato. Non tanto in termini squisitamente economici, quanto per le implicazioni politiche. In altre parole: chi crede che la dichiarazione di dissesto costituisca, in sé, una ferita del contesto democratico cittadino sarà disponibile a “sorvolare” sulle colpe dell’attuale amministrazione; all’opposto chi crede che l’inadeguatezza del sindaco abbia superato i limiti considererà la sanzione del dissesto come l’esito inevitabile della triste vicenda. Ci si consenta di evitare l’adesione ad uno dei due schieramenti, e porci una domanda forse più determinante: le condizioni di disastro e di potenziale dissesto del Comune dipendono, come i sostenitori del primo cittadino rimarcano, dell’iniquità di un debito ingiusto sancita dall’amministrazione centrale?
Al quesito non si può che rispondere negativamente: la gestione finanziaria del Comune è risultata, sin dalla prima sindacatura di De Magistris, inadeguata e poco avveduta sulle conseguenze di un debito crescente. Si obietterà: lo stato, da qualche lustro, porta a coerenza i propri vincoli attraverso una sistematica opera di taglio delle risorse destinate alle amministrazioni locali. È vero, ma proviamo a fare un banale “conto della serva” di aritmetica (finanziaria): se al momento dell’insediamento del sindaco il debito fosse stato pari a 100, considerando un tasso del 10%, dopo un anno il debito sarebbe pari a 110. Aggiungendo l’onere per i mancati trasferimenti dello stato, diciamo pari a 20, il nuovo debito sarebbe 132 (100+10+20+2), se non si cumula nuovo debito. Ogni euro aggiuntivo di debito sarebbe colpa della nuova amministrazione e non del “debito iniquo”. Nel caso del comune di Napoli i debiti complessivi ammontano, per ammissione stessa del vicesindaco e assessore al bilancio a 4,8 miliardi, più del doppio della cifra che è maturata in base a interessi e mancati trasferimenti. In soldoni: a De Magistris in 7 anni dobbiamo almeno la genesi di un paio di miliardi di euro di nuovi debiti. E cosa c’entra con questo il debito iniquo? L’assessore Panini, in un balzo da novello Keynes, aggiunge che la consistenza patrimoniale del comune è quasi doppia rispetto al totale dei debiti e ciò confermerebbe “solidità del comune”. Ahi ahi assessore: il comune non è un normale privato cui la banca pignora la casa data in ipoteca e che viene requisita nel caso in cui il debito non sia onorato. Provi a mettere sul mercato valori di qualche miliardo di immobili del comune e sarà in grado di ottenere la più estesa e omogenea protesta sociale della storia d’Italia. Un bene pubblico e un bene privato, ci si insegna, sono analiticamente differenti.
Ma l’ignoranza (o l’assenza di buona fede) in economia non è un peccato preoccupante; più gravi ci sembrano i dati (inoppugnabili) che seguono:
- Dal 2020 devono iniziare a essere onorati gli interessi passivi dei tre derivati finanziari magistralmente sottoscritti dall’amministrazione Iervolino. L’onere annuale è pari a circa 180 milioni;
- Nella graduatoria di capacità amministrativa dei comuni, Napoli al 2017 si pone al terz’ultimo posto;
- La capacità di riscossione è inferiore alla media italiana;
- Nell’ultimo anno l’organico è diminuito ma la spesa per il personale è aumentata;
- Gli interventi sui diritti sociali, le politiche sociali e la famiglia scendono del 30%; le spese per istruzione e diritto allo studio del 50%;
- Il tempo medio di pagamento a fornitori (a cui il comune deve oltre un miliardo di euro) è salito a 321 giorni per fatture che andrebbero onorate in 30 giorni;
- L’elenco ufficiale degli immobili di proprietà del comune risulta, da sito ufficiale, di 475 pagine per un totale di almeno 46 mila asset. Possibile che non si sia riusciti a metterli maggiormente a frutto?L’elenco potrebbe continuare, ma evitiamo ulteriori spinte depressive ai nostri lettori.
Quel che è sicuro è che il sindaco che verrà troverà (predissesto o dissesto che sia) vincoli trentennali al suo agire. Un solo consiglio: oltre a tuonare (a ragione) contro lo stato cinico e baro, faccia un po’ di conti e cerchi di scindere le colpe altrui dalle proprie.