Duro affondo di tre famosi epatologi nei confronti della seconda puntata della quarta stagione di Gomorra, andata in onda lo scorso venerdì 29 marzo. In una lunga lettera, firmata da Lucio Caccamo, Paolo De Simone e Maria Rendina, tutti e tre noti epatologi attivi in Italia, viene infatti puntato il dito contro una parte della puntata stessa, in cui viene raccontata la storia di una donna ammalatasi nella Terra dei Fuochi e le cui vicende si intrecciano con quelle di Gennaro Savastano.
Nella seconda puntata di Gomorra 4, la donna viene rimandata a casa dall'ospedale dove è in cura, perché il suo male al fegato appare incurabile. Gennaro Savastano, interessato invece a comprare il terreno dove la famiglia vive, offre al marito della donna l'opportunità di andarsi a curare in Brasile, oltre ad un forte conguaglio economico. E proprio questo aspetto è stato fortemente criticato dai medici. Che spiegano come in Italia questo tipo di prestazioni non è affatto a pagamento, ma viene fornito dal Sistema Sanitario Nazionale. Per cui, il messaggio sbagliato di dover andare all'estero per poter fare il trapianto risulta completamente sbagliato. "Non occorre affidarsi ai soldi di Genny Savastano. C'è la rete nazionale dei trapianti. E non bisogna pagare". I medici puntano il dito contro "il team di sceneggiatori", che a loro detta avrebbe dovuto "documentarsi meglio" su un tema così delicato come la questione dei trapianti.
La lettera completa dei medici: "Bisognava informarsi meglio"
Questo il testo completo della lettera, pubblicata dai medici Lucio Caccamo, Paolo De Simone e Maria Rendina sulle pagine di EpatTeam, progetto che si occupa proprio di tutto ciò che riguarda i trapianti di fegato in Italia e dunque maggiormente "coinvolto" nella vicenda.
Nel mondo devastato e devastante di Gomorra, tutto ha un prezzo e spesso questo prezzo è la morte.
Il racconto che l’appassionante fiction di Sky fa dell’ambiente criminale legato alla camorra napoletana, segue le parabole umane dei suoi personaggi principali (Genny Savastano su tutti) e dei tanti personaggi minori, tutti funzionali alla trama.La narrazione è avvincente, fedele alla regola del “saliscendi emozionale” che tiene avvinto lo spettatore grazie anche al succedersi dei momenti di azione pura.
Così, tra un’auto-bomba e un’esecuzione a colpi di pistola, capita che si parli di trapianto di fegato. E non per caso.
Nel secondo episodio andato in onda venerdì 29 marzo, il tema del trapianto di fegato diventa un vero e proprio “snodo narrativo”.
Purtroppo però se ne parla male, assoggettando alle cosiddette “esigenze di sceneggiatura”, una narrazione improbabile e poco verosimile.
Ora, chi conosce le regole della fiction, sa benissimo che nel cosiddetto “patto con il lettore” (telespettatore in questo caso), si può e si deve dare spazio alla massima creatività, ma quando si fa riferimento a contesti reali, bisogna essere esatti e – se non autentici – almeno verosimili.
Perciò non è assolutamente verosimile che la giovane mamma ricoverata in una struttura pubblica perché gravemente ammalata di cancro al fegato, per operarsi debba pagare cifre iperboliche, oppure in alternativa rivolgersi al mercato nero degli organi e andare a operarsi all’estero.
In Brasile nel caso specifico. Tutto ciò, oltre che non plausibile, oggi in Italia rappresenta un falso. E pure piuttosto grave. Spiace dirlo, ma il team di sceneggiatori guidato da Roberto Saviano avrebbe potuto (e dovuto) documentarsi meglio, nella consapevolezza che il messaggio che affiora è totalmente negativo e finisce, purtroppo, per risultare fuorviante rispetto alla realtà del Paese e a una comunità – quella dei trapianti e delle donazioni di organo – che coinvolge centinaia di specialisti considerati un’eccellenza del Paese, e migliaia di italiani che lavorano per incrementare la cultura del dono di organi.
In Italia ogni spesa che riguarda sia i trapianti sia le donazioni di organi (cuore, polmoni, fegato, reni, pancreas, intestino) e tessuti (cornee, pelle, segmenti osteomuscolari, vasi sanguigni, valvole cardiache, nonché parti composite come la mano e la faccia), è a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Tanto è vero che sia le donazioni che i trapianti si svolgono esclusivamente in ospedali pubblici o in strutture private accreditate con il SSN.
Inoltre, i centri trapianto per poter svolgere le proprie attività devono essere opportunamente autorizzati dal ministero della Salute e riconosciuti dalla Regione di appartenenza, che è poi l’ente che eroga i rimborsi per le attività svolte.
Tutto ciò avviene alla luce del sole e sotto una puntuale tracciabilità che viene monitorata, gestita e sorvegliata da parte del Centro Nazionale Trapianti.
Non c’è nessuno scopo di lucro nella gestione delle liste di attesa, e quindi nella selezione dei riceventi dei trapianti, la qual cosa segue una serie di criteri oggettivi di gravità clinica e di compatibilità biologica.
La piaga dei trapianti a pagamento, come pure del prelievo di organi da soggetti talvolta consenzienti e remunerati, esiste in quanto è nell'attitudine umana concepire il bene come pure perseguire il male.
Qui parliamo di una certa forma di sfruttamento della povertà, dentro il quale si sviluppa il cosiddetto turismo dei trapianti.
Tra gli ammalati con forti disponibilità economiche, può anche esserci chi trova strade illecite che si offrono in alternativa a quelle lecite (come quella presente in Italia) che pure costituiscono l’ossatura della medicina dei trapianti in tutto il mondo.
Qui c’è sicuramente il rischio molto concreto d’incappare in intermediari di pochi scrupoli che con i soldi dei pazienti facoltosi prezzolano il povero di turno e con la complicità criminale di medici disposti a tutto pur di guadagnare eseguono i complessi interventi di trapiantologia.
Quali sono questi Paesi? Esistono poche certezze e qualche sospetto, più o meno fondato su indagini giudiziarie e su inchieste giornalistiche: i ricchi partono soprattutto dal Canada, da USA, dall’Australia e da Israele; i trapianti si svolgono in Cina, Brasile (unico dato vero nella ricostruzione di Gomorra), Filippine, Corea del Sud, India e anche nella vicina Turchia.
In passato, inoltre, in Cina era legge la pratica della somministrazione della pena di morte ai condannati attraverso un sistema che ne manteneva vitali gli organi che venivano preventivamente venduti all’asta su Internet: a chi? Di nuovo, a chi se li poteva permettere. Ufficialmente la Cina sostiene di aver chiuso questa pratica abominevole a seguito delle pressioni internazionali.
Questo giusto per dare il quadro esatto della situazione. Gomorra ha quindi sbagliato perché il caso della giovane mamma che viene raccontato (grave e urgente) nel nostro sistema (pubblico e gratuito) avrebbe una rigorosa presa in carico grazie al fatto che si tratta di un sistema costituito in una rete nazionale di professionisti che è monitorata e la cui pratica è costantemente vigilata in un’ottica di tracciabilità: un’eccellenza sanitaria riconosciuta in tutto il mondo. Qui l’Italia ha davvero fatto scuola anche in tema di sicurezza oltre che di trasparenza.
Dispiace quindi per quella che gli sceneggiatori derubricheranno probabilmente a “marginale inesattezza”, mentre a noi di Epateam – consapevoli che la fiction di Sky verrà vista da milioni di persone – resta il rammarico per un messaggio sbagliato e dannoso che rischia di colpire soprattutto un aspetto nobile come la donazione degli organi, gesto volontario e senza alcuna precondizione.
Un gesto che raffigura quanto sia grande lo spirito dell’uomo anche nel momento del più profondo dolore per la perdita del proprio caro. Come Epateam racconta puntualmente attraverso testimonianze e documenti di ogni genere, dalla morte delle persone e dalle generose donazioni da parte dei familiari hanno origine i trapianti che sono in grado di ridare vita e pienezza di vita a coloro che altrimenti hanno una grave malattia senza – il più delle volte – alcuna speranza di avere un futuro, che siano bambini o adulti, donne o uomini.
Proprio come succede alla giovane mamma nel secondo episodio di Gomorra. Solo che non occorre affidarsi ai soldi di Genny Savastano. C’è la rete nazionale dei trapianti. E non bisogna pagare.