La Campania esprime il candidato premier del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio e l'altro leader pentastellato, Roberto Fico: era qui che il Movimento giocava una partita campale ed era qui che il Partito Democratico doveva tentare di arginarlo con una battaglia non solo di numeri ma anche di temi, di facce, di idee. E invece proprio all'ombra del Vesuvio che si è consumata la sintesi di tutte le disgrazie Dem, che ha – e non potrebbe essere altrimenti – il nome e il cognome di Vincenzo De Luca. È stato il presidente della Regione Campania ad appropriarsi della scena, seppur non direttamente candidato. È stato lui a volere fortemente, per non dire imporre, il figlio Piero De Luca in lizza alla Camera con quasi certezza d'elezione a Salerno; è stato lui a imporre il politicamente imbarazzante re delle fritture di pesce Franco Alfieri, suo capo di Gabinetto in Regione. È stato De Luca ad affrontare Di Maio con una veemenza degna del miglior Maurizio Crozza, annunciando querele e polarizzando lo scontro.
Mentre i Cinque Stelle viaggiavano sul web mostrando anche l'inchiesta Bloody Money di Fanpage.it su rifiuti e politica quale dimostrazione, a loro dire, del fallimento del governo regionale, De Luca si mostrava nei monologhi sull'emittente salernitana Lira Tv sempre più arrabbiato. Una cesura dal punto di vista comunicativo è stata la sfuriata a mezzo web a difesa del figlio Roberto, indagato per corruzione a Salerno. Da allora qualcosa è scattato anche nei più giovani e probabilmente anche in coloro che mai avrebbero ipotizzato di votare Cinque Stelle. Aspettando di capire quale sarà il destino dei signori delle tessere del Pd in Campania, dall'area di Mario Casillo al candidato Lello Topo, una cosa è certa: il crollo Dem in Campania mette a serio rischio la ricandidatura di Vincenzo De Luca alle Elezioni Regionali del 2020.