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Salvate Pompei (da chi la gestisce)

La notizia degli scavi di Pompei chiusi senza preavviso “per assemblea sindacale” fa il giro del mondo, piovono critiche e condanne. Ma a fare la conta dei danni dopo lo scandalo della chiusura a sorpresa, si scopre che a pagare lo scotto più alto nella contesa tra dipendenti e Soprintendenza è proprio il sito archeologico campano, ridotto ad aprire e chiudere i cancelli a forza di ricatti.
A cura di Angela Marino
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Duemila persone in fila sotto il sole davanti al botteghino chiuso. In gran parte stranieri, allineati in coda per visitare uno dei siti archeologici più antichi e famosi al mondo, si sono fermati davanti a un ingresso chiuso. Sbarrato – senza un cartello, senza un avviso che illuminasse i visitatori – per la mancanza di personale necessario alla salvaguardia e alla custodia del sito. È quanto è successo oggi davanti agli Scavi di Pompei. Dov'erano custodi, vigilanti e altri addetti ai lavori? In assemblea sindacale. Un incontro convocato all'uopo, come si dice, dopo due giorni di attriti e di minacciati scioperi con la Soprintendenza competente. Il risultato è stato un caos durato ore e interrotto solo dall'arrivo del soprintendente Massimo Osanna, che ha aperto personalmente i cancelli, contrattando la vigilanza della struttura con i funzionari. E la notizia ha fatto il giro del web. Perché, se è legittimo, sacrosanto, scioperare, riunirsi in assemblea e confrontarsi con la dirigenza, per i dipendenti di qualsivoglia compagine, pubblica o privata, si ci si può chiedere se lo sia, legittimo e sacrosanto, usare lo sciopero come arma di ricatto, mandando in tilt l'ingranaggio di un sistema ormai da tempo al collasso.

Chi ha pagato il prezzo più alto per questo coup de theatre che ha lasciato gli Scavi deserti per ore? La risposta più ovvia è che il costo più alto dello sciopero sia quello scontato dai turisti, vere vittime di questo braccio di ferro tra la Soprintendenza e i lavoratori. Che dire poi delle istituzioni, come il Ministro dei beni e delle attività culturali guidato da Dario Franceschini, che ha parlato di "danno incalcolabile" per l'immagine dell'Italia. Eppure, terza vittima di questa guerra quotidiana che comincia ad assumere i contorni esasperati di una querelle locale fatta di dispetti e ritorsioni, sono gli stessi sindacati che stamattina hanno deciso delle sorti di un monumento pubblico, seppure per due ore. Se la stessa Cisl Fp si dissocia dal "Tenere in ostaggio i turisti" allora vuol dire che la politica sindacale adottata fino ad ora è tutt'altro che efficace. A guardare bene la situazione, in effetti, tutte le parti coinvolte sembrano perdenti, sebbene continuino a farsi la guerra con le armi che hanno. Completamente disarmata, invece, e in balia di negoziazioni quotidiane è l'antichissimo sito campano, martoriato dall'abbandono, dall'incuria, dalla negligenza di anni di (mala)amministrazione e solo da poco sotto la benefica luce di un progetto di respiro europeo di restauro. A fare la conta dei danni, a questo punto, si scopre come a pagare il prezzo maggiore non siano i turisti e neanche i lavoratori, ma gli oltre 2mila anni di storia e cultura circoscritti da cancelli regolati da lucchetti che si aprono a forza di ricatti, alla stregua di un cortile condominiale.

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