È il passato non ancora sedimentato di San Giovanni a Teduccio. Il presente ignorato, il futuro maltrattato. L’ex fabbrica Corradini è un pezzo di storia del territorio, un gioiello di archeologia industriale che giace addormentato su una striscia di terra stretta tra il mare e la linea ferroviaria. In un progressivo, lento e inesorabile abbandono, nonostante le promesse di risanamento, gli annunci di restyling conservativi, le presentazioni programmatiche di rivitalizzazione. Sulla spiaggia deserta il suggestivo suono delle campane della vicina chiesa di san Giovanni Battista, la cui guglia fa capolino in lontananza tra i vecchi capannoni scoperchiati, si confonde con il rumore della risacca. Perché subito al di là dei binari c’è il centro storico del quartiere della periferia est di Napoli, di pescatori prima, di operai dopo. Adesso coloro che vi abitano si chiedono cosa ne sarà dei resti di quel complesso, dal 1999 di proprietà del Comune, che per oltre un secolo ha scandito i loro tempi di vita e lavoro, visto che nel nuovo master plan del Porto di Napoli, approvato a febbraio scorso, si legge che “Sotto il profilo amministrativo si deve anche evidenziare che le aree a terra, interessate dall’ipotesi di creazione di una nuova stazione ferroviaria portuale, lungo il litorale di San Giovanni nell’area un tempo occupata dalla fabbrica ex Corradini, per essere utilizzate a tale scopo, necessitano dell’annullamento del decreto di vincolo posto su tale complesso immobiliare, nel 1990 dall’allora Ministro per i beni Culturali ed Ambientali, così come risulta necessario acquisire alla disponibilità dell’Autorità di Sistema Portuale le aree comunali comprese tra la dividente demaniale e l’attuale linea ferroviaria della Napoli-Salerno”.
Rabbia e preoccupazione – «Se questo piano venisse attuato, come previsto entro il 2030, si consumerebbe un danno inestimabile non solo per la nostra città, ma per il Paese – denuncia Marco Ferruzzi, il giovane architetto fattosi promotore di una petizione popolare e che ha inviato una lucida ma appassionata lettera, corredata di ampio reportage fotografico, al ministero dei Beni culturali e dell’Ambiente, alla Soprintendenza e al sindaco di Napoli Luigi De Magistris -. Eppure all’ex stabilimento industriale è stato riconosciuto l’interesse storico-architettonico e su di esso, dal 27 febbraio 1990, è stato apposto il vincolo ai sensi della legge 1089/39». Oggi i ponteggi in ferro arrugginito, le erbacce, i muri pericolanti nascondono i vari stili architettonici che dal ’700 al ’900 hanno ospitato gli stabilimenti della londinese Dent Allcroft, della Pellami De Simone, della vetreria Falcocchio, della conceria Budillon, della Deluy-Garnier, della Corradini che a fine ’800 si era specializzata nella produzione di manufatti bellici e chiuse i battenti nel 1949. Circa 19mila metri quadrati su 700 metri di costa dove affacciavano le industrie, dai primi immobili multipiano, tipici degli impianti tessili, ai capannoni terranei in muratura a campate multiple e tetto a falde di destinazione produttiva metallurgica. Fonderia, forno, ciminiera, falegnameria definiti dagli esperti opere eccezionali per la presenza contemporanea, in uno stesso sito, di tutte le tipologie di sviluppo tecnologico dell’edificio industriale. In quella San Giovanni “officina” che si specchia con Bagnoli all’altro capo. «Possibile che, dopo anni di incuria e abbandono, l’unica soluzione sia ora l’abbattimento? – insiste Ferruzzi – Buttare giù la Corradini, ampliare la colmata a mare per realizzare uno scalo commerciale, invece di ridare il mare ai suoi abitanti? Negli anni sono state tante le promesse di riqualificazione e di recupero di questi edifici, mai realizzate. Parliamo di un’importante testimonianza di archeologia industriale e di un passato glorioso che ha fatto ricca la capitale del Sud Italia. Ho scritto anche all’Aipai, l’associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale, e il responsabile campano Augusto Vitale mi ha risposto che un bene pubblico con vincolo diretto è inalienabile e che l’amministrazione comunale è tiepida, prona ai voleri del Demanio e dell’Ente portuale. Forse non servirà l’annullamento del vincolo perché se si continua a non intervenire e a non mettere in sicurezza le strutture, non resterà più nulla da proteggere e tutelare. Non sarà mica per questo che non si interviene?». Sono arrabbiati anche i comitati civici.
«Ciò che è scritto nel master plan è atto amministrativo pubblico, uno scempio ufficializzato» dichiara Enzo Morreale del comitato civico di San Giovanni a Teduccio. «È l’ultimo episodio – aggiunge – di una storia che inizia nella metà degli anni ’90 quando si decide di ampliare il porto verso l’area orientale. Si è speso un mucchio di soldi per realizzare la darsena di levante. Nella fase di approvazione del progetto presentammo al ministero dell’Ambiente le nostre osservazioni critiche, siamo citati nel decreto, ma non abbiamo avuto confronto, le comunità locali non sono mai state coinvolte».
La vecchia fabbrica, spazio considerato vuoto, perché privo di funzione, in realtà è pieno. Di memorie individuali e collettive, di cultura del lavoro, cioè di quel “saper fare” che caratterizza. «Ed ecco che all’improvviso in questo master plan – continua Morreale – tra i problemi da affrontare nella costruzione di nuove banchine portuali, oltre a quelle già esistenti e in via di realizzazione, compare anche la questione di annullare il vincolo della Soprintendenza. In una cartina del master plan sono segnati in rosso gli edifici da demolire, tra cui la ex Corradini. È scritto nero su bianco, ma sembra che ancora una volta non se ne voglia parlare, dietro ci sono grossi interessi. Non dimentichiamo che è ancora in vigore il piano regolatore portuale in cui si prevede la creazione di una piattaforma petrolifera nel golfo di Napoli. Il progetto per il recupero della ex Corradini vale 40 milioni di euro, di cui 20 finanziati, i lavori dovevano essere ultimati nel 2017, ma finora non è stato fatto nulla. Mensa e biblioteca universitarie erano destinate qui, insieme al porto turistico, al polo artigianale e di promozione culturale. Un sito affascinante con enormi potenzialità, ma oggi solo un rudere». Il degrado architettonico e ambientale pesa come un macigno? «Napoli dopo aver conosciuto mani sulla città, ora sta vivendo mani sul mare – risponde Francesco Maranta, portavoce del Forum Diritti e Salute-, cioè la linea di costa che va dai Granili fino a San Giovanni sarà “cosa” loro, ceduta ai grandi profitti, alle imprese portuali che si muovono senza considerare che in quest’area vivono 100mila abitanti. Si è persa un’opportunità: dove c’erano le industrie che hanno provocato danni, il sito dismesso poteva costruire una storia nuova nell’area est. E invece oggi qui si insedia un centro di alta specializzazione informatica come la Apple, ma a San Giovanni a Teduccio resta l’odore dei depositi di carburante, appena entri lo senti nella gola, racconta di alti indici di inquinamento ed inquinatori impuniti. Un quartiere che subisce continuamente tentativi selvaggi di mortificazione, come quello dell’Autorità portuale approvato dal Comune».
La replica – Secca la risposta di Pietro Spirito, presidente dell’Autorità portuale del Mar Tirreno centrale: «Abbiamo già fatto tutte le verifiche, è allo studio un progetto per restituire il mare, finora negato, agli abitanti di San Giovanni, coniugando lo sviluppo del porto, oggetto di mancate promesse da decenni, con il miglioramento della qualità di vita del quartiere. A cominciare dal suo rapporto con il mare stesso, il cui accesso oggi è ostacolato da una ferrovia che fa da trincea. Nessuno vuole demolire l’ex Corradini. Ci sono strutture di cui d’accordo con la Soprintendenza tuteleremo la memoria e che metteremo in salvo, poi ci sono le macerie». Il vantaggio economico dei resti della cittadella industriale sta tutto nella vicinanza al mare. Il waterfront offre un importante volano per la salvaguardia e valorizzazione di questa vecchia fabbrica. «Il programma del Piano città, approvato in giunta, riguarda solo una parte dell’ex Corradini e si sta procedendo – rassicura l’assessore comunale all’Urbanistica Carmine Piscopo -. È stata già attuata la bonifica dell’area. Esistono i vincoli su cui si esprime esclusivamente la Soprintendenza ed esiste con l’Autorità portuale un tavolo permanente, aperto, di confronto e discussione».
“Recupero prescritto e mai sino in fondo digerito” – Risanare. Ovvero dare credito a quell’industriekultur, cultura industriale, spesso ignorata, che ha riconvertito, ad esempio, la Centrale Montemartini, primo impianto pubblico di Roma per la produzione di energia elettrica, in una sede distaccata dei Musei Capitolini. Al suo interno è possibile ammirare sia le sculture classiche che gli antichi macchinari utilizzati nella centrale. Ma serve lungimiranza. «La vicenda del complesso industriale della Corradini e del suo abbandono attuale è intimamente legata ad alcune scelte pianificatorie operate a partire dalla variante generale al prg – spiega Renato Capozzi, professore associato di Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II -. In tale strumento urbanistico e di indirizzo si riconosceva il valore testimoniale e architettonico della fabbrica verso il mare, appunto di preziosa archeologia industriale, e l’opportunità offerta dal più ampio complesso Cirio di ospitare attività universitarie e collettive. Da allora si sono susseguiti numerosi studi di fattibilità redatti in ambito universitario, poi progetti project financing avviati, approvati e naufragati, che prevedevano insieme al recupero (prescritto e mai sino in fondo digerito) di quelle testimonianze la realizzazione di un porto turistico opportunamente connesso con l’asse di corso San Giovanni. Più di recente ulteriori studi universitari per l’area dell’ex stazione di San Giovanni, e soprattutto un piano di dettaglio (pua) del Comune, che però sembra essere stato sorpassato dalle recenti previsioni dell’autorità portuali. Previsioni di questi ultimi mesi che, nel prolungare a dismisura la piattaforma logistica dei container dalla darsena di levante verso est, annullano o quasi la possibilità del porto turistico e, al tempo stesso, sottraggono al mare svariate migliaia di metri quadrati mediante tombamento».
Nel mezzo l’ex Corradini. Non un fossile che congela il passato, ma pietra viva capace di dialogo virtuoso con il futuro. Purtroppo azzittita. «Un complesso di grande valore – sottolinea Capozzi – che, per l’incapacità di tutela dei vari enti preposti e analoghe insufficienze imprenditoriali, versa nell’attuale inaccettabile condizione di incuria. Un complesso, infine, che a causa di queste ultime previsioni dell’autorità portuale, sospinte prevalentemente da una logica economico-mercantile, rischia di vedersi ancora di più escluso dalla dinamica urbana, stretto com’è a nord dalla linea ferroviaria e a sud dalla futura smisurata, e forse da rivalutare nella forma e nell’impatto, piattaforma logistica per i container. Non so quanto (vincolo diretto o ambientale) quest’archeologia industriale sia attualmente vincolata dalla locale Soprintendenza. Credo, comunque, che un primo passo verso il suo recupero non sia la mera messa in sicurezza, ma soprattutto la realizzazione di sistemi di connessione trasversale verso l’interno, ad esempio con la più fortunata area Cirio, da alcuni anni ospitante il Polo universitario di eccellenza con la Apple Academy».