Il business della droga a Napoli non conosce crisi, ma lo spaccio a Secondigliano cambia volto. Pusher-fattorini e smercio casalingo in mano a “privati” hanno soppiantato la vecchia “piazza” di spaccio gestita direttamente dal clan di zona. A decretarne la recessione sono state le continue incursioni delle forze dell’ordine e l’opera di smantellamento di interi rioni bunker, quelli con le classiche vedette, la fila di tossici e le feritoie nei portoni blindati attraverso le quali i pusher distribuivano le dosi. Per riuscire a vendere la “roba”, gli spacciatori si sono spostati in piazze poco distanti, come il vicino Parco Verde di Caivano. Oppure l’attività di compravendita è rimasta sì in loco, ma viene affidata a privati. Una modalità, quest’ultima, finora esistita in basse percentuali e che, invece, con il tempo è diventata quella più utilizzata dalle cosche attive nel quartiere della periferia a nord di Napoli.
Ordini telefonici e narcoshop casalingo
Se prima le piazze erano gestite all’interno di una rigida struttura verticistica che non lasciava spazio a libere decisioni sulla commercializzazione del prodotto, adesso il “sistema” stabilisce il prezzo ed impone al privato l’acquisto di un preciso quantitativo di sostanza stupefacente con cadenza che può essere settimanale, quindicinale o mensile. In pratica lo spacciatore viene “caricato”, come si dice in gergo, di un tot insindacabile di droga che è poi da lui confezionata e venduta in autonomia. Si può ordinarla per telefono e il corriere assicurerà consegne rapide e flessibili in un luogo che non è mai lo stesso e concordato con l’acquirente senza intermediazioni. Nel caso di fermo da parte delle “divise”, il pusher dovrà giustificare la presenza soltanto delle poche dosi da consegnare, e ciò farà la differenza tra detenzione ai fini di spaccio e per uso personale. Accanto allo spaccio itinerante, c’è quello domiciliare. Sempre più diffuso, come confermano gli ultimi arresti. Il narcoshop casalingo è un vero e proprio laboratorio in appartamenti abitati, fornito di bilancini di precisione, di microcamere sul pianerottolo e monitor tv ad esse collegati come sistema di videosorveglianza. Il mercato diventa sempre più fluido e la logistica del commercio illegale muta per non dare punti di riferimento alle forze dell’ordine. Per indagare bisogna adattarsi, cambiare strategie di continuo. In un recente blitz un poliziotto del commissariato di Secondigliano si è finto fattorino delle pizze per entrare in un appartamento divenuto centrale dello spaccio domestico.
Il mercato fluido cambia la logistica e i metodi
Lavoro di strada e lavoro di intelligence, quello degli investigatori. Ogni arresto porta nuove conoscenze sul modus operandi, sui luoghi, sulle persone, sui legami. In una mappa a equilibri variabili dove i confini sono netti, ma i fili da seguire intrecciati. A volte nascosti, se capita che il “sistema” scopra solo grazie all’arresto che qualcuno spaccia in casa senza permesso, oppure scopra solo dopo il sequestro dello stupefacente che un pusher ha più della quantità imposta (che comunque non è poca). Perché esiste anche il cosiddetto acquisto “fuori sistema” (e per “sistema” si intende la famiglia reggente in un determinato territorio). Per comprare a prezzi più competitivi o perché serve altra “roba” che “non sta a terra”, cioè al momento non disponibile, il pusher talvolta si fa furbo e acquista altrove. Rischia però, smascherato, di pagare con gli interessi il doppio gioco e di non essere più “caricato” all’uscita dal carcere. Una sorta di controllo camorristico del territorio con mezzi diplomatici, per non arrivare alle armi che attirerebbero polizia e carabinieri.
La geografia del traffico illegale. E gli stipendi di "F"
Le vie dello spaccio coprono l’intero quartiere di Secondigliano: via Dante e Vanella Grassi nel centro storico, corso Secondigliano altezza via Regina Margherita, via Monte Faito al rione Berlingieri, fino ad arrivare a via della Bussola nel “Bronx” di San Pietro a Patierno. Anche se ridimensionate, resistono due delle piazze di spaccio old style: quella del rione dei Fiori, noto anche come Terzo Mondo, e quella delle cosiddette Case celesti, al confine con Scampia. Ma il Terzo mondo non è più un fortino: vi si aggira un pusher in attesa dei clienti, mentre altri suoi due o tre collaboratori sorvegliano e si danno la voce nel caso arrivino gli “sbirri”. È finito il tempo in cui, qualche anno fa, i carabinieri scoprirono in via Giardino dei ciliegi i taccuini con i conti della droga e alla voce “uscite” gli stipendi destinati ai figli del capoclan Paolo Di Lauro, tutte indicate con la lettera F seguita da un numero, fino a dieci, quanti gli eredi del boss. Ma in quella stessa lista delle “uscite” c’erano pure le spese per i fabbri aumentate in maniera vertiginosa. Fabbri chiamati a riparare porte e cancellate buttate giù ad ogni blitz dai vigili del fuoco. I conti parlavano chiaro: la piazza “chiusa” è costosa. Il cambiamento per la sopravvivenza era dietro l’angolo.