Ci sono voluti ben 44 anni affinché una donna napoletana si vedesse risarcita per una malattia contratta in ospedale a causa di una trasfusione con del sangue infetto. La Corte d'Appello di Napoli ha rigettato il ricorso e ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere alla donna 180mila euro di risarcimento. Era il 1974 quando la donna, all'ospedale San Paolo di Fuorigrotta, quartiere della periferia occidentale del capoluogo campano, contrasse una epatite virale di tipo C dopo una trasfusione di sangue infetto resasi necessaria durante il parto cesareo. Soltanto nel 2009 però la donna ha dato mandato a un legale di agire contro il Ministero della Salute. La consulenza tecnica riconobbe la correlazione tra la trasfusione e la malattia e riconobbe un danno biologico pari al 30 percento.
Nel 2014, poi, la IV Sezione Civile del Tribunale di Napoli condannò il Ministero della Salute al risarcimento di 160mila euro più interessi per non aver vigilato adeguatamente sulle sacche di sangue. Dopo qualche mese però il Ministero chiese l'integrale riforma della sentenza di primo grado. Sentenza che adesso, nel 2018, la Corte d'Appello partenopea ha rigettato, condannando tra le altre cose il Ministero e l'Asl a pagare, oltre al risarcimento, anche le spese del grado di giudizio.