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Valentina Casa, quella ‘vittima’ che ci ingannato solo perché non volevamo guardare

Dopo l’arresto con l’accusa di omicidio del piccolo Giuseppe, Valentina Casa è passata dal ruolo di spettatrice annichilita a complice conclamata del massacro del figlioletto. Ma solo per chi non l’aveva osservata attentamente. Per sua figlia N. 8 anni, lucida testimone degli orrori di Cardito, chi era sua madre è sempre stato chiaro. L’involontaria testimonianza della bimba è stata un tassello fondamentale per il suo arresto.
A cura di Angela Marino
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Nelle situazioni di violenza domestica ci sono due tipi di reazioni: la ribellione e la muta accettazione. In moltissimi casi le vittime adottano la seconda per un meccanismo di impotenza appresa, per cui sono così assuefatte alla violenza che pensano di non poter fare nulla per cambiare la situazione. È un po’ come la sindrome del prigioniero che quando si vede aprire i cancelli dall’aguzzino, resta immobile.

Tutti noi pensavamo che Valentina Casa rientrasse in questa categoria, quella della vittima impotente, istupidita dalle botte e paralizzata dagli scoppi d’ira del compagno, il brutale Tony Essobty, la belva che ha ammazzato il piccolo Giuseppe e ha quasi ucciso la sorellina N. Invece 72 giorni dopo che il suo piccolino venisse portato via cadavere, la mamma in lutto è stata arrestata con l’accusa di omicidio aggravato dai futili motivi, dalla crudeltà e dall’abuso delle relazioni domestiche. Le stesse, insomma, che sono state mosse al compagno.

Cosa è successo in questi 72 giorni? Lo dicono le 64 pagine dell’Ordinanza di custodia cautelare con cui viene motivato l’arresto. Contro Valentina non solo le circostanze del brutale assassinio di Giuseppe, dove si è rilevato che ha avuto una condotta favorente nei confronti del compagno (ha lavato via il sangue dei figli, gettato via le ciocche di capelli strappati, ha cercato di evitare di chiamare l’ambulanza), ma anche le testimonianze. Quella, per esempio, della vicina di casa che rivela che mai Valentina ha chiesto aiuto a qualcuno quando il suo compagno tirava calci e pugni ai bambini o quando li sgridava o quando minacciava Giuseppe. Anche la scena di lei che viene bloccata e trattenuta mentre fa per andarsene con la figlia minore in braccio, davanti all’ambulanza che preleva il corpo morto di suo figlio, non la descrive proprio come una donna schiacciata dagli eventi, ma come qualcuno che scappa da quello che ha fatto.

Il chiodo sulla tomba della credibilità di vittima di Valentina, in verità, lo ha conficcato la sua stessa figlia. N., la bimba di 7 anni che l’ambulanza ha portato via in fin di vita quel maledetto 27 gennaio, ha dipinto di sua madre un ritratto molto eloquente. Nonostante il trauma subito la piccola N., otto anni, si è dimostrata lucida e in grado di valutare oggettivamente i fatti, di riconoscere il bene dal male – lei almeno – e dunque, la sua testimonianza, che ha descritto una madre complice passiva delle sevizie e torture del convivente, è apparsa a tutti la prova provata della complicità della Casa nelle condotte del compagno. Colpisce la scena descritta nell’ordinanza della piccola N. che viene chiamata a giocare alla famiglia e dopo averne composta una con le bambole, prende quella che nella famiglia immaginaria rappresenta la mamma e la toglie, dicendo ‘questa non serve a nulla’.

Il ruolo della donna vittima, in realtà a Valentina non è mai riuscito troppo bene. Valentina Casa si definisce sotto choc quando si racconta agli inquirenti, ma poi al funerale del figlio deride quelli che temono che possa compiere atti di autolesionismo: "Se lo devono prendere in c**o". Il terribile sospetto, tuttavia, è che la spensierata Valentina non senta dolore per quanto accaduto, perché per lei l'abuso e la violenza sono il normale sfogo della propria frustrazione, perché i bambini sono poco più che pungiball. Perché al contrario di sua figlia, non distingue il bene dal male.

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