Quasi due ore tra risposte e domande, una audizione lunghissima e articolata, quella di Luigi De Magistris alla Commissione parlamentare periferie oggi a Roma. Andrebbe ascoltata dal primo all'ultimo minuto, perché è la summa di quel che il sindaco di Napoli e la sua maggioranza vorrebbero si dicesse e si pensasse della città. L'audizione non prevede un dibattito o una contrapposizione fra parlamentari e persona invitata a parlare. Tuttavia stupisce come tutti i parlamentari abbiano ascoltato un'ora e passa di monologo senza contrapporlo alla realtà (o almeno ad una parte di realtà) che la commissione pure avrebbe dovuto ascoltare quando è venuta, qualche mese fa, in missione all'ombra del Vesuvio.
Non è solo una questione di fact checking. È proprio la visione che è totalmente sballata. Basterebbe il passaggio sul turismo: «Napoli è sicuramente in questi anni con la nostra Amministrazione diventata per la prima volta una città turistica – ha detto De Magistris – perché non lo è veramente mai stata, era una città di passaggio, la gente atterrava all'aeroporto poi andava a Capri, Ischia, Sorrento, Positano…». È dai tempi di Goethe e Stendhal che Napoli è città turistica. E la grande distorsione degli ultimi tempi è far passare la bellezza storica, paesaggistica e architettonica come merito di una gestione politica, quando è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vederla, la realtà. Ovvero una città meravigliosa ma caotico cantiere a cielo aperto da troppo tempo, con musei scollegati nei trasporti (un solo nome: Capodimonte, l'area collegata peggio di tutta la città). Non ci vuole nulla a provarlo, però la narrazione di oggi era l'esatto contrario e non prevedeva replica o contraddittorio (l'unica parlamentare napoletana della commissione, Michela Rostan, ex Pd ora Articolo 1, era assente).
«Non abbiamo più un posto letto libero a Napoli» ha detto il sindaco parlando della fiumana turistica. Che c'è ma che assolutamente non significa sold out negli alberghi e basta andare su un motore di ricerca per viaggi, selezionare Napoli e rendersene conto.
«Lavorano tutti: tassisti, albergatori, ristoratori… basta entrare in una trattoria nel centro, sono passati da da 5 a 30 dipendenti e vengono tutti dalle periferie». Proprio così: la città non è più capitale della discoccupazione, «vogliamo che Napoli sia anche città industriale» continua, ma «industria nel rispetto dell'ambiente», certamente. «Pensiamo al compostaggio». Pensiamo? Sono sette anni che il Comune di Napoli non riesce a realizzare nemmeno una bacinella per il compostaggio dei rifiuti e siamo al «Pensiamo» come se fosse una novità?
E ancora, e ancora: «Sul tessile e manifatturiero siamo ai vertici mondiali…». «Vogliamo anche l'agricoltura». Il libro dei sogni evidentemente incanta così tanto che i parlamentari ascoltano, ipnotizzati. «Abbiamo messo in campo partite su Fiat Pomigliano e Finmeccanica»: quali partite non si sa, forse di scopone scientifico?
De Magistris prima lamenta: «Io non so noi come abbiamo fatto, abbiamo avuto la cassa bloccata per un pignoramento risalente al periodo del terremoto 1980» E poi dopo essersi fatto i complimenti da solo dice che i fondi europei vuole gestirli in autonomia. Autonomia è la parola-chiave: «La regione deve fare programmazione, non può esercitare potere che non gli appartiene» e bum, affondo a Vincenzo De Luca . Poi quando gli si chiede dell'abbattimento delle Vele di Scampia e dell'assegnazione dei nuovi alloggi, operazione non esente da complessità e criticità, è un magnificare di rinascita in un piano che per ora, a maggio 2017, non prevede nemmeno il luogo in cui andranno gettati i detriti della demolizione della Vela da abbattere.
Quando si parla di beni comuni e affidamento ai centri sociali di struttura, Dema chiama a supporto il fedelissimo assessore ed ex compagno di scuola Carmine Piscopo, responsabile del Patrimonio. Lo chiama una, due, tre volte, Piscopo capisce che è il caso di intervenire. «Noi non affidiamo – spiega, ed è la prima volta forse che viene spiegato con chiarezza il meccanismo delle delibere "sugli spazi" – conserviamo la proprietà ma consentiamo fruizione ad una collettività che dichiara di voler fare un certo programma stabilito insieme, non in stanza chiusa ma in assemblea pubblica. All'interno del bene ci si dota di un regolamento di usi civici dentro cui si realizzano programmi sociali, educativi assistenziali e di volta in volta ci sono assemblee. Il Comune è parte di queste assemblee come socio». Spiegato, dunque, l'arcano: è il Comune che diventa azionista delle occupazioni mettendoci il suo peso istituzionale. Chissà la Corte dei Conti che ne pensa.