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Comunità per il recupero dei minori gestite dai Casalesi, perquisizioni anche negli uffici del Comune

Proseguono le indagini a Casapesenna: sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori, una comunità convenzionata con il ministero della Giustizia per la gestione e il recupero dei minori dell’area penale collocata, a due passi dalle case e dalle attività della famiglia Zagaria. In corso perquisizioni anche negli uffici del Comune.
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Immagine di repertorio
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CASERTA – Diciamola tutta, la verità: se invece che a Casapesenna avesse avuto sede in uno dei minuscoli e anonimi comuni del Matese, nessuno l’avrebbe scoperta. Nessuno, cioè, avrebbe notato mai la bizzarria di una comunità convenzionata con il ministero della Giustizia per la gestione e il recupero dei minori dell’area penale collocata a due passi dalle case e dalle attività della famiglia Zagaria.

E, scavando, scoprire poi a che a gestire la comunità ci sono le sorelle-nipoti-figlie di esponenti di vertice del clan dei Casalesi. Lo hanno fatto per quasi sette anni, cioè da qualche settimana dopo l’arresto di Michele Zagaria. Senza neppure preoccuparsi di schermare l’ingombrante cognome di famiglia: figlie di Paolo Del Vecchio, condannato per associazione camorristica nel processo sulla Paganese Trasporti; sorelle di Carlo, capozona a Capua e Santa Maria Capua Vetere, condannato per omicidio; nipoti di Francesco Schiavone jr, cugino e omonimo del capo casalese conosciuto come Sandokan, condannato all'ergastolo e detenuto al 41 bis. Non perché quelle parentele siano un reato. Ma perché l'inopportunità è evidente. Familiare e territoriale.

Eppure le sorelle Del Vecchio – Eufrasia, Adalgisa e Rosanna – con il marito di Rosanna, il parrucchiere Massimo Zippo, e la madre Regina Zagaria hanno aggirato controlli e indagini finendo per diventare colossi del privato sociale e così ottenere la convenzione con il Centro per la giustizia minorile di Napoli. Per la Dda di Napoli (pm Simona Belluccio, Vincenzo Ranieri e Antonello Ardituro) ce n’è abbastanza per ipotizzare che la costellazione di cooperative che fanno capo alla Edv di Eufrasia Del Vecchio siano attività di camorra. In mattinata sono state perquisite abitazioni, uffici, sedi delle coop e gli uffici comunali (settore servizi sociali) di Santa Maria Capua Vetere, Casapesenna e Villa di Briano. Blitz affidato agli uomini della Squadra Mobile di Napoli e Caserta, dello Sco di Roma e dell’Agenzia delle Entrate di Caserta. A tutti sono stati notificati avvisi di garanzia nei quali si ipotizzano i reati di concorso esterno nell’associazione mafiosa, riciclaggio e associazione camorristica.

L’indagine, di cui Fanpage.it ha anticipato il contesto alcuni giorni fa, nasce da una informativa del 18 ottobre scorso nella quale gli investigatori sollevavano alcune perplessità circa le modalità con cui le società della famiglia Del Vecchio hanno ottenuto le convenzioni ministeriali. Informativa allarmata, perché nel frattempo le coop avevano iniziato a operare anche in Sicilia da dove era arrivata richiesta di una certificazione antimafia allargata. Poi la necessità di approfondire la questione anche rispetto ai rapporti con l’unico centro pubblico di riabilitazione minorile. Le coop delle sorelle Del Vecchio (la Edv di Casagione, che gestisce i servizi amministrativi dell’intero gruppo e seleziona il personale, Serapide, Sant’Elena, Mirò, Giardino d’Infanzia, L’Incontro, Turan, Alice) si appoggiano, per i progetti di recupero dei ragazzi dell’area penale, all’ex carcere minorile Angiulli, a Santa Maria Capua Vetere, che continua a funzionare senza però offrire servizi residenziali. Cioè: lo Stato paga due volte la riabilitazione e il recupero, servizio garantito però solo dall’Angiulli.

Ma la retta versata alle coop comprende, invece, il pacchetto completo. Una ulteriore verifica riguarda i dipendenti della struttura, soprattutto quelli con ruoli apicali, che pure avrebbero parentele strette con esponenti del clan. E i rapporti con le assistenti sociali del Centro per la giustizia minorile, che assegnano i ragazzi all’una o all’altra comunità con criteri arbitrari e non immuni da sospetti. In più di una occasione, infatti, la comunità risulta essere stata selezionata per le sue caratteristiche si “morbidezza” e tolleranza richieste dai familiari di ragazzi provenienti da contesti camorristici.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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