«La chimica lebbra» la definiva Pierangelo Bertoli in una delle canzoni italiane più belle, "Eppure soffia". Battipaglia prima, oggi Avellino. Un incendio (doloso) in una fabbrica di smaltimento pneumatici in provincia di Salerno e ora, nel capoluogo irpino, un rogo in una fabbrica di recipienti plastici per batterie. Nell'aria una nera nube tossica avvolge l'area Sud e la zona Nord della Campania. A Napoli e in provincia lo stop al termovalorizzatore di Acerra ha decuplicato i criminali roghi di rifiuti nell'hinterland.
La Terra dei Fuochi non è mai finita, anzi, si è estesa all'intera area dell'ex Campania Felix, terra tossica.
Non è solo una questione di cumuli di sacchetti bruciati sotto un viadotto o di mancata raccolta differenziata: le aziende – quelle poche che restano – in Campania, del settore chimico, hanno evidentemente seri problemi di sicurezza. Staccate dal territorio, con piani di emergenza che stando ai fatti lasciano il tempo che trovano, sono incapaci di far fronte a roghi, dolosi o no che siano. Sommate ai vari stoccaggi di rifiuti disseminati come punti neri sulla regione forniscono un quadro drammatico. Viviamo sotto scacco d'una bomba ad orologeria che può essere usata anche da chi, dolosamente, intende avvelenare questi territori? Sapevamo di doverci difendere dai criminali, dal business dei rifiuti, sapevamo che le aziende non sono certamente dei lunapark a sfondo ambientalista. Ma la sicurezza? E com'è possibile che la Regione Campania si limiti esclusivamente a mandare lì l'Agenzia di Protezione Ambientale per saggiare i danni fatti? Com'è possibile che le istituzioni locali, a Salerno come ad Avellino, come nel resto della Regione diano quasi per scontate queste vere e proprie minacce?