Consigliere provinciale, consigliere regionale, deputato, sottosegretario. Trent’anni di vita politica sempre in primo piano, da giovanissimo esponente socialdemocratico a influentissimo coordinatore di Forza Italia in Campania. Nel cuore di Silvio Berlusconi fino alla fine. O quasi. Di successo in successo, anno dopo anno, forte di denari – grazie alla cassaforte di famiglia, l’Aversana Petroli – e di potere. Poi la discesa agli inferi, progressiva e veloce: da sottosegretario all’Economia a cittadino comune privato della libertà. Una vita bruciata in quattro anni, quando poi si è trasformata nella stagione del carcere e dei processi, delle sospette collusioni con il clan dei Casalesi e con non meglio identificati apparati deviati dello Stato che lo avrebbero beneficiato di notizie riservate, verbali secretati, brogliacci falsificati.
Ecco Nicola Cosentino, sessant’anni compiuti cinque mesi fa, uscito indenne dall’ultimo procedimento penale (cinque quelli a cui è stato sottoposto), quello che in primo grado gli era costato la condanna a sette anni e mezzo per estorsione e illecita concorrenza. Assolto un anno e mezzo dopo in Appello, ha visto confermare la sua estraneità ai fatti dalla Cassazione che, evidentemente, ha fatto proprie le durissime critiche mosse ai giudici sammaritani di prima istanza dal relatore di secondo grado, Massimo Perrotti. Motivazioni che facevano strame di accuse e processo, e soprattutto dei due principali accusatori, ritenuti invece testimoni mendaci. Processo, quello soprannominato “carburanti”, che nasceva a carico del fratello Giovanni, dominus di Aversana Petroli, e che a strascico aveva portato con sé le posizioni di Nicola e del più giovane dei Cosentino, Antonio.
Tutti i processi di Nicola Cosentino
Nicola Cosentino per quelle accuse era stato arrestato il 3 aprile del 2014, cinque mesi dopo aver guadagnato la libertà perduta a causa degli altri due provvedimenti cautelari che pendevano sulla sua testa. Tornato a casa a novembre, aveva partecipato alla fondazione di “Forza Campania”, costola scissionista di Forza Italia, nata con l’obiettivo mai nascosto di mettere in crisi la giunta regionale, capeggiata da Stefano Caldoro. Era tornato alla politica, dunque, nonostante la sua scarcerazione avesse avuto, come motivazione, proprio il suo allontanamento dalla politica. E così il processo che era nato sulle dichiarazioni di un piccolo concorrente di Aversana Petroli, era diventato il processo all’ex sottosegretario e alla sua famiglia.
Ma aveva iniziato a percorrere il ripido precipizio giudiziario sei anni prima, nel 2008, durante la stagione delle stragi casalesi. In quel tempo si contarono alcune collaborazioni importanti: prima Domenico Bidognetti, poi Gaetano Vassallo. Il dossier Cosentino si aprì proprio con loro dichiarazioni, pesantissime, alle quali, via via, se ne aggiunsero infinite altre. A novembre del 2009, da deputato e sottosegretario con delega al Cipe, a Nicola Cosentino fu notificata la prima ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di concorso esterno al clan dei Casalesi. E’ l’inchiesta Ecoquattro, quella che parla delle ingerenze della politica nella gestione criminale dei rifiuti e nel grande affare dei consorzio di bacino. L’ordinanza non fu eseguita perché la Camera dei Deputati negò l’autorizzazione all’arresto. Ma le sue fondamenta giuridiche ebbero, a gennaio del 2010, la conferma della Cassazione alla quale il parlamentare si era rivolto “per saltum”, evitando il Riesame. Era convinto, invece, di ottenere l’annullamento e potersi così candidare alla Regione, al posto di Stefano Caldoro. È in quel periodo che nasce un’altra inchiesta a suo carico, quella sulla P3 e sul dossieraggio a carico di Caldoro: indagine che è poi costata a Cosentino la condanna a dieci mesi per diffamazione e violenza privata. Il 16 novembre 2016 nel processo Ecoquattro è stato condannato in primo grado a nove anni di reclusione. L’appello è in corso.
Niente candidatura regionale ma, quasi due anni dopo (il 6 dicembre 2011) un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere: quella del processo cosiddetto de “Il Principe e la (scheda) ballerina” e in cui è definito il “referente nazionale del clan dei Casalesi”. L’accusa è di reimpiego di capitali mafiosi. Il 21 aprile 2017 è stato condannato a 5 anni di reclusione. Avrebbe agevolato una cordata di imprenditori dietro ai quali si muoveva il figlio del capoclan Francesco Schiavone, Nicola (da quasi un anno collaboratore di giustizia). Il processo di appello è in corso.
Nicola Cosentino è entrato in carcere la prima volta il 15 marzo del 2013, giorno della decadenza da parlamentare e della perdita delle conseguenti guarentigie. Cinque mesi dopo, i domiciliari. A novembre, la scarcerazione collegata alla sua assenza dalla politica. Ad aprile del 2014 di nuovo il carcere, a Secondigliano. E’ in questa fase che nasce l’ultima inchiesta a suo carico, quella per la corruzione di alcuni agenti della polizia penitenziaria che lo hanno agevolato durante la detenzione in cambio di regali e favori. E’ stato condannato a quattro anni di reclusione dal Tribunale di Napoli Nord. La sentenza è stata confermata in Appello e in Cassazione. La pena è stata interamente scontata.
Se dovesse essere condannato in uno qualunque degli altri processi pendenti, le porte del carcere si riaprirebbero inevitabilmente senza possibilità di sconti o benefici di sorta.