Ero in piazza Sanità, quella sera di maggio del 2014, quando Matteo Renzi insieme a Maria Elena Boschi e a un bus di candidati del PD alle elezioni comiziava infilando nel concetto di Sud di tutto di più, da Pompei a Gomorra fino a Eduardo De Filippo. Ora, un anno dopo, quando nella stessa identica piazza un 17enne (innocente? Non innocente? Riuscite davvero a fare questa differenza?) muore ammazzato la voce del presidente del Consiglio dei ministri non si sente già da un po'. Parla con tutto e di tutto, Matteo Renzi, ma delle guerre di malavita che a Napoli coinvolgono quartieri di periferia come il rione Traiano e il centro antico, preferisce di no. Rovinano lo storytelling.
Per uno che tace, uno che straparla: il sindaco di Napoli Luigi de Magistris poco fa, uscendo dalla prefettura ha fatto questa dichiarazione: «In questi anni si è andati a tagliare definitamente qualsiasi tipo di interlocuzione tra la camorra dai colletti bianchi e la politica. Noi siamo schierati in prima linea. Dobbiamo evitare che ‘gruppuscoli' minoritari possano impaurire una città che sta fondando tutto sul riscatto sociale, basta vedere le presenze turistiche nella nostra città».
Sì. Ha davvero detto di aver reciso il rapporto politica-camorra. E sì, ha davvero definito la camorra (baby camorra, camorra stracciona ma non certo povera di introiti, non certo debole nel controllo del territorio, non certo incapace di reclutare da leve sempre più giovani) "gruppuscoli minoritari". Nei giorni scorsi aveva detto che Napoli non sta peggio di Milano e che Napoli non è Baghdad.
Questa è la situazione, questo lo stato dell'arte, ora. Capite che non c'è molto da sperare, in queste condizioni. A meno che i due non decidano di parlarsi e guardare in faccia alla realtà: c'è una guerra che va combattuta con serietà e con un'unica voce dello Stato. Non facendo finta che non esista, non facendo finta che è stata già vinta.