Ciò che resta, che potrà ancora essere, del clan dei Casalesi è scritto in otto pagine formato Excel, lo schema riassuntivo dei detenuti al carcere duro, al regime del 41 bis, con la scritta laterale della data di scarcerazione presunta, quella – cioè – annotata sulla matricola di entrata/uscita. La lista è come il bacino di uno stagno, di acqua apparentemente morta nella quale, invece, pullula ogni sorta di vita infetta, portatrice di febbre quartana e di peste. Lo specchio di quella che fu la palude dei Mazzoni, con le sue sabbie mobili e i suoi segreti. Da Alfiero Massimo a Zara Nicola, in rigoroso ordine alfabetico: sono i nomi che hanno fatto la storia criminale della provincia di Caserta dal dopo-Bardellino ai giorni nostri, dal processo Spartacus alla follia stragista del 2008. Sono cinquantuno, capiclan e gregari, qualche colletto bianco, qualche sanguinario esattore del racket, la punta avanzata di un cartello mafioso che ha dominato sul territorio di Terra di Lavoro per un quarto di secolo. Quasi la metà, venticinque, hanno un fine pena nell’anno 9999, cioè mai: il primo e l’ultimo della lista, passando per i pezzi da novanta del clan, Francesco e Walter Schiavone, Francesco “Cicciariello” Schiavone, Francesco, Aniello e Raffaele Bidognetti, Michele Zagaria.
Poi ci sono gli altri. E il pericolo si nasconde proprio tra quegli altri, in carcere da almeno dieci anni (alcuni anche da una ventina), nessuno condannato per fatti di sangue, alcuni prossimi alla scarcerazione, altri ancora che potrebbero esserlo presto e a sorpresa. Perché sul foglio matricola è scritta la pena lorda alla quale bisogna sottrarre non tanto gli sconti di pena (che pure ci sono ma ormai residuali) ma fungibilità e continuazioni. In parole semplici, i periodi di detenzione scontati per reati dai quali si è stati assolti e cumuli gonfiati, si fa per dire, da reati commessi nello stesso periodo ma giudicati separatamente. Una tara che viene fatta dai tribunali di sorveglianza, volta per volta, caso per caso, ma quando ci si avvia alla scarcerazione. Con il risultato di trovarsi per strada, a sorpresa, personaggi che la burocrazia ministeriale ritiene al sicuro ancora per qualche anno.
È successo tante volte, accadrà ancora e non è possibile fare altrimenti. Ed è per questo che la lista va studiata con attenzione. Anche perché del clan che verrà, del clan dei Casalesi nuovo formato, faranno parte figli e nipoti dei capi ergastolani, giovanotti che non sono al 41 bis e che sono abbastanza vicini alla liberazione: Emanuele Schiavone (fine pena virtuale nel 2022) e Gianluca Bidognetti (2027). Il primo praticamente già fuori, l’altro libero tra non più di un anno e mezzo. Giovanotto cinico e spietato, Gianluca accompagnò i killer di Peppe Setola a uccidere la zia e cugina, vendetta trasversale contro la propria madre (Anna Carrino) che si era pentita.
Ma guardiamola più da vicino, la geografia dei clan in vinculis. Francesco Russo, fratello di “Peppe il padrino”, fazione Schiavone, sarà scarcerato entro la metà di ottobre di quest’anno. Salvatore Nobis, uomo di fiducia di Michele Zagaria, tre mesi dopo. Andranno a raggiungere quanti sono stati già liberati: Carmine Zagaria, Filippo Capaldo (nipote di Zagaria), uno dei figli di Schiavone-Sandokan (Ivanhoe) che non ha seguito il fratello più grande nella scelta della collaborazione e ha rinunciato alla protezione. Nel giro di poco (fine pena lordo tra il 2022 e il 2026) a loro si aggiungeranno Maurizio Capoluongo, Pasquale Apicella, Salvatore Di Puorto, Elio Diana, Giuliano Martino, Aldo Picca, Oreste Reccia, Pasquale Zagaria (il capo dell’ala imprenditrice del clan).
Ancora pochi mesi, dunque, e si saprà in che modo il clan avrà cambiato la sua pelle. Se prenderà il sopravvento l’ala militarista, più prossima alle modalità di azione napoletane (uso massiccio della forza ma scarsa visione strategica), o quella più tradizionale a trazione mafiosa (sommersione e affari, possibilmente sulle piazze straniere). E non è una questione di poco conto.
Una situazione analoga si era verificata nel 1993: Francesco Schiavone-Sandokan era stato scarcerato a sorpresa ai primi di ottobre, un paio di anni prima della data presunta. E si era subito eclissato (sarà arrestato cinque anni dopo, l’11 luglio del 1998, senza mai più tornare libero). Francesco Bidognetti, che divideva con lui il comando del clan ma che sembrava destinato alla leadership, era stato invece arrestato a dicembre dello stesso anno. Gli equilibri si erano quindi spostati a vantaggio del primo, senza più essere messi seriamente in discussione: nonostante le guerre periodiche e le decine e decine di omicidi.
Quest’anno, l’ultimo della tregua armata, potrebbe accadere ancora ma non è ancora immaginabile la strada che sarà presa dalle nuove leve. Allo stato, i colonnelli già tornati in libertà si tengono apparentemente in disparte. E i più giovani, abbandonata la strada sicura e redditizia delle scommesse e dei videopoker (ramo d’azienda controllato da Nicola Schiavone, che collabora con la giustizia da quasi otto mesi), hanno iniziato a trafficare in cocaina: attività molto più redditizia e molto più rischiosa, che li porta a contatto stretto e quotidiano con le paranze napoletane. Se saranno loro a ereditare il clan, lo trasformeranno in un’altra cosa: in una gang molto violenta, capace di ripetere le gesta di Giuseppe Setola e della sua accolita di stragisti, sanguinaria fino all’eccesso ma con scarsa aspettativa di vita. Se saranno loro gli eredi di Sandokan, Bidognetti, Iovine e Zagaria, conquisteranno il comando con omicidi rituali (come fece Setola) per rivendicare la primazia della regola di camorra e chiudere i conti rimasti in sospeso. Non andranno lontano ma semineranno morti e terrore. Ma non sarà diverso se i vecchi saranno più veloci: prima di nascondersi e di espatriare, prima di sprofondare nelle rassicuranti sottotracce che non prevedono inutili spargimenti di sangue, dovranno chiudere le partite aperte con chi li ha scaricati, chi li ha denunciati, chi ha trattenuto la cassa senza più pagare gli stipendi agli affiliati che poi si sono pentiti. E anche questa prospettiva non sarà indolore. Perché se è vero che il clan dei Casalesi non è più quello che abbiamo conosciuto nel processo Spartacus e fino alle stragi, è altrettanto vero che la camorra non è affatto morta. E che la lunga quiete è troppo spesso preludio di una tempesta.