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Opinioni

La Napoli che non ha smesso di insegnare al Principe di Danimarca

Dieci anni fa moriva Carla Melazzini, “maestra di strada” e tra le fondatrici del Progetto Chance contro la dispersione scolastica nei quartieri popolari di Napoli con Cesare Moreno e Marco Rossi-Doria. Il suo libro “Insegnare al Principe di Danimarca”, è una delle più belle testimonianze sui bambini della città.
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Via Toledo, Napoli (foto Christopher Furlong/Getty Images)
Via Toledo, Napoli (foto Christopher Furlong/Getty Images)

Il più bel libro sui bambini di Napoli degli ultimi anni non è diventato una serie tv con lo sfruttato sfondo delle Vele di Scampia. Non è diventato un film con Paolo Villaggio, non un bel romanzo, né uno stucchevole video reportage con la lacrima pronta. Il più bel libro sui bambini di Napoli l'ha scritto una insegnante della Valtellina morta il 14 dicembre 2009, giusto 10 anni fa. Lei si chiamava Carla Melazzini, il volume è stato pubblicato postumo, curato dal marito Cesare Moreno. Si intitola "Insegnare al principe di Danimarca".  Non mi stupisce che gran parte della mia città, impegnata a parlarsi addosso dalla notte dei tempi oggi non ricordi Carla; non mi stupisce che le istituzioni non abbiano previsto di ringraziarla in maniera pubblica, dieci anni dopo la sua morte, per questa testimonianza così rigorosa, così secca e ben scritta.
Dei libri "necessari" su Napoli abbiamo riempito scaffali, scordandoci quelli scritti "per necessità". Necessità di far sapere, di far conoscere, di far capire.

La prima battuta che proferisce Amleto nella tragedia di Shakespeare riguarda la sua percezione del rapporto familiare. Egli si sente «Un po’ più che parente, e men che figlio». Intorno al titolo del libro ruota una domanda che agita generazioni di figli, genitori ed educatori di buona volontà:

Un insegnante di media cultura e umanità è presumibilmente disponibile a commuoversi sul dramma del giovane principe di Danimarca, e a riconoscere le ragioni dei suoi atti, anche i più estremi. Ma quanti insegnanti sarebbero disposti a riconoscere la stessa legittimità ai sentimenti di un adolescente di periferia che vive il tradimento della propria madre con l’intensità e la consequenzialità del principe Amleto? Si racconta qui l’apprendistato di un gruppo di insegnanti di media cultura ed umanità per conoscere le periferie della città e le periferie dell’animo degli adolescenti, cercando di stabilire con loro un dialogo educativo e di vita.

Per capire questo "dialogo educativo" occorre approfondire il significato di due definizioni: "Progetto Chance" e "Maestri di strada". L'ultima è riconoscibile, bella, facile, è titolo di libri e di perfino di un film.  Il Progetto Chance iniziato da Carla, Cesare e Marco Rossi-Doria, invece a molti giornalisti napoletani fa venire in mente tanti articoli scritti sulla lotta per la sopravvivenza di una possibilità per i ragazzi che la scuola l’hanno abbandonata.  "Chance", chiamata impropriamente "progetto"  è scuola vera e propria, «impegnata a svolgere il programma previsto per la licenza di terza media». Il nuovo decennio di questi anni Duemila dovrebbe rappresentare un nuovo inizio: oltre la "didattica attiva laboratoriale” nelle scuole di Ponticelli e San Giovanni Barra, è prevista l'apertura di una intera scuola, una ex struttura didattica del Comune di Napoli, in via Bartolo Longo.

Scrive Carla, spalmando parole che sembrano miele millefiori, pluralità di "fioriture", in questo caso di esperienze di ragazzi, insegnanti, personale scolastico, madri, padri:

La quantità di cose che in questi ultimi nove anni ci hanno insegnato i nostri alunni è così straripante da farci correre il rischio – ogni volta che le raccontiamo a qualcuno – di stordire gli ascoltatori, ragion per cui il sistema più utile è di ricorrere a qualche parola-chiave selezionata nel mucchio: in questo modo se ne possono scegliere, ad esempio, quante possono stare in un’esposizione di dieci minuti, e non di più.

Le vite che si incrociano quella mattina del 15 settembre 1998 al Centro Servizi Sociali di San Giovanni a Teduccio: Carla, Amalia, Rita, professoresse, e Maria, assistente sociale, che incontrano Assunta, Mario, Raffaele, Rita, Pina, Anna e Cira, sono storie nelle storie che portano ad altre storie: c'è il ponte, cioè la scuola, ci sono gli insegnanti costruttori di ponti e infine i ragazzi, attraversatori di ponti. «Noi ci stiamo rendendo conto solo oggi, dopo diversi anni, che a questi ragazzi spesso chiediamo di scavalcare un ponte su un abisso» scrive Carla. «Vedete come fila il discorso?» direbbe il Michele Murri del "Ditegli sempre di sì", di Eduardo De Filippo, altro napoletano che tanto sperò, tanto disse e fece e poco ebbe, per l'infanzia emarginata di Napoli.

I ragazzi del progetto Chance sono quel che per Amleto è l'amico Orazio: «Un uomo che ha saputo ricever dalla sorte gli schiaffi e le carezze, con pari spirito di gradimento». Da tutto imparano e con tutto crescono: quel che deve pesare di più sulla loro personalissima bilancia dipende solo da ciò che ricevono dalla società, dalle istituzioni, dalla città, dalla famiglia, dal contesto. Il romanzo di Napoli non è nulla, se paragonato alla realtà; prendete la più amata delle storie recenti, "L'Amica Geniale" di Elena Ferrante, prendete la "Fata blu", la fiaba scritta dalla piccola Lila: ecco, questa si scioglie, al confronto del «fiore che non voleva essere un fiore», frutto della fantasia (più reale d'ogni cosa) d'una bambina che era stata bocciata in seconda elementare.
Oggi, ne sono certo, le piccole Lila sono a Ponticelli dai maestri di strada.

Scrisse Cesare nel 2009, in ricordo della compagna d'una vita:

La morte di Carla è come la morte di una pianta millenaria, muta ed immobile testimone di avvenimenti che nella sua prospettiva sono effimeri ed insieme nutrita da quanto le accade intorno, dal passare delle stagioni, dal calore del sole, dalla forza della terra. Quando muore una simile pianta per molto tempo niente cresce nei solchi un tempo occupati da radici vitali, ma col tempo tutto si trasforma in nuova linfa vitale. Io spero per noi che questo accada e che quanti le hanno voluto bene possano continuare a nutrirsi della sua forza.

Con affanno, fatica, non senza mortificazioni, con orgoglio e mille soddisfazioni, la Napoli che non ha smesso di insegnare al Principe di Danimarca esiste e non ha bisogno di attestazioni né di riconoscimenti. Se tutto andrà come deve, i maestri di strada avranno una scuola tutta loro. Oggi, dal solco un decennio fa lasciato vuoto dalla pianta millenaria, già si vede più d'una gemma rifiorire.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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