La crisi era là, annunciata dalle preoccupate rilevazioni dell’Ispra, documentata dalle riviste di settore, osservata in presa diretta dall’inchiesta giornalistica Bloody Money, scritta nero su bianco dai responsabili dei consorzi di filiera. Complice la svolta ambientalista della Cina, che ha chiuso le frontiere ai rifiuti provenienti dall’occidente. Complice soprattutto mezza Europa, a partire da Italia e Germania, che non ha saputo (o voluto) adeguare il parco impianti alle necessità della raccolta differenziata. Che è sì cresciuta di volume ma che è di scarsa qualità e difficilmente riciclabile, in aperto contrasto con la direttiva Ue sull’economia circolare e il reimpiego virtuoso dei materiali di scarto. È per questo che finiva nelle fauci degli inceneritori cinesi che fino a sette mesi fa ingoiavano di tutto: plastica sporca, film, pellicole, rottami ferrosi, componenti elettroniche. Le fiamme sono l’ultima frontiera. Fiamme pilotate, che servono a distruggere i materiali depositati negli insufficienti impianti autorizzati, ormai oltre il limite massimo di stoccaggio; e nei capannoni industriali abbandonati, riempiti di rifiuti illegali, italiani e tedeschi. Rifiuti speciali, plastica e cartone, ma anche quelli urbani, che in Campania non riescono più a essere trattati (gli Stir lavorano a scartamento ridotto) e inceneriti (la terza linea del termovalorizzatore di Acerra è ferma per manutenzione). E così gli incendi dell’ultimo mese (ma anche quello di un anno fa, all’Iside di Bellona) finiscono per essere solo l’indicatore di una crisi che rischia di far implodere l’intero sistema della raccolta e dello smaltimento in quasi tutto il continente. Qualcosa di più grande e di più pericoloso delle emergenze del 2003 e del 2007/2008, le cui conseguenze stiamo ancora pagando.
Gli incendi dei rifiuti in Campania
Partiamo dagli incendi. Tre in quattro settimane. Il primo a Battipaglia, nella notte tra il 24 e il 25 giugno, quando va a fuoco l’azienda Nappi sud, sito di trattamento rifiuti. Sei giorni dopo a San Vitaliano tocca al deposito della Bruscino Ambiente, sito di stoccaggio di materiale da imballaggio – plastica, carta, cartone, film – raccolto per conto del Conai, il consorzio a cui aderiscono le imprese che raccolgono e riciclano gli imballi. Il 25 luglio a Caivano, dove il fuoco distrugge buona parte delle balle depositate nel piazzale della Di Gennaro spa, pure questa specializzata nel trattamento degli imballaggi. Poche ore dopo a Chiaiano è stato sequestrato un sito di stoccaggio abusivo, nel vallone dell’alveo Tirone, gestito dai titolari di una ditta, la Gav, i cui impianti, a Teverola, erano andati a fuoco a febbraio.
È la cronaca di un disastro annunciato: da centinaia di incendi di proporzioni più contenute (la relazione della commissione sulle ecomafie ne ha censito uno ogni due giorni) e da una circolare del ministero dell’Ambiente, datata 15 marzo 2018, firmata dal direttore generale Mariano Grillo. Un documento che è la risposta articolata (e burocratica) alla richiesta di ampliamento delle aree di stoccaggio arrivata dai responsabili dei Consorzi. Vengono dettate le linee guida in caso di emergenza ma nulla si dice sull’imminente, e preventivata, crisi di sistema innescata dalla chiusura del mercato cinese. “Risulta noto – è scritto in premesso nella nota, indirizzata agli enti territoriali, alle Regioni, ai Comuni, all’Ispra – che tutto il territorio nazionale è stato recentemente interessato da diffusi e frequenti episodi di incendi in impianti di trattamento di rifiuti, di maggiore o minore gravità. Tale fenomeno, nel destare forte preoccupazione in tutta la popolazione direttamente ed indirettamente interessata dai predetti episodi, ha reso necessario un confronto tra questo Dicastero unitamente al Dipartimento dei vigili del fuoco, alle amministrazioni regionali ed alle agenzie ambientali maggiormente interessate, per individuare in sinergia le più opportune iniziative atte a prevenire, o quanto meno a ridurre, i rischi connessi allo sviluppo di incendi presso impianti che gestiscono rifiuti”. Seguono i suggerimenti per la gestione della crisi.
Dalla Cina al resto del mondo
Ma il problema è a monte. Ed è l’inadeguatezza degli impianti per il trattamento dei polimeri misti (contenitori monouso, vaschette, bottiglie opache, imballi multistrato) che, allo stato, possono essere solo smaltiti in discarica o bruciati. All’aumento della raccolta differenziata (in Campania la percentuale è del 49 per cento) non corrisponde un analogo incremento del materiale riciclabile. Secondo alcune stime, appena il 30 per cento di quello raccolto. Un problema che riguarda l’intera penisola: tra il 2013 e il 2016, la raccolta differenziata è lievitata di 10 punti, passando dal 42 al 52 per cento. E se è vero che ci sono più rifiuti , è vero anche che è lievitato il quantitativo di scarti da smaltire. Ma dove?
La Cina, infatti, che alla fine degli anni Ottanta era diventato il maggior importatore di rifiuti del mondo, ha deciso di vietare l’ingresso di 32 tipologie di rifiuti solidi fra il 2018 e il 2019, dopo aver già proibito l'import di altre 24 tipologie dal 1° gennaio 2018. Dal 31 dicembre 2018 non potranno più entrare in Cina 16 tipi di rifiuti, tra i quali le carcasse di auto compresse e i pezzi di navi demolite. Dal 31 dicembre 2019 il bando riguarderà altre 16 tipologie, fra le quali i rottami di acciaio inossidabile. Il blocco ha lasciato a terra 122 milioni di tonnellate di plastica in tutto il mondo. Con l’obbligo per i Paesi che finora avevano utilizzato la Cina stessa come destinatario dei propri rifiuti di trovare nuove soluzioni. In uno studio pubblicato da “Science Advances”, si sottolinea come si dovrà trovare una destinazione per 111 milioni di tonnellate metriche (122 milioni di tonnellate) di plastica entro il 2030. Parte di quella plastica è stoccata in Italia, proprio in quegli impianti (ampiamente sottodimensionati) ad alto rischio: sia per le caratteristiche del prodotto, altamente infiammabile, sia per l’inadeguatezza dei sistemi anticendio. Eventi colposi, ma il dolo è dietro l’angolo perché il fuoco, come detto, libera le piazzole di stoccaggio da quelle balle ingombranti che nessuno vuole e che non si sa come smaltire.
È la camorra o un sistema più vasto?
Ma attenzione a chiamare in causa la camorra che, allo stato, gestisce la logistica ma non ha disponibilità di inceneritori o discariche. E che, quindi, da questi incendi non trarrebbe alcun beneficio. Lo ha detto in maniera esplicita in una intervista a “Il Mattino” Daniele Fortini, presidente di Geofor, la partecipata dei Comuni di Pisa e Pontedera, ex amministratore di Asia e di Ama e presidente di Federambiente. “Il sistema Conai è in grado di ricevere tutto il materiale. Ma ci sono difficoltà a collocarlo poi sul mercato. Prima la Cina assorbiva il 40 per cento dei materiali secchi raccolti in italia. Oggi, quindi, si ritira con lentezza e le difficoltà si sono trasferite ai selezionatori.
Sulla responsabilità dirette della malavita negli incendi al momento non sembrano esserci elementi certi e documentati: purtroppo nel caso di Caivano siamo nella Terra dei Fuochi e il primo pensiero va sempre alla criminalità organizzata, ma io diffido dagli stereotipi che a volte allontanano dalla realtà dei fatti ed esimono dalle responsabilità chi ce le ha per davvero”. Altra storia, invece, per gli incendi dei capannoni dove vengono stoccati illegalmente rifiuti urbani, industriali e tossici. Questi sì al centro di un più vasto traffico gestito, come era già stato negli anni Novanta, da faccendieri legati a consorterie massoniche e dalla camorra. Come ha ampiamente documentato l’inchiesta Bloody Money.