Oltre vent'anni. Un tempo adulto. Quindi il mio vuoto è diventato maggiorenne. La risata – spontanea, eh, sempre spontanea, ma anno dopo anno meno sorpresa e sempre più malinconica – l'ho ripetuta guardando e riguardando film e siparietti per anni, cioè da quando – il 4 giugno 1994 – mi dissero che era morto Massimo Troisi e io, che stavo lavorando in un teatrino piccolo al Vomero, illuminando altre battute, con il corpo fermo dietro l'occhio di bue e la testa dei miei diciassette anni a svagare altrove dissi: «Ma overamente?» e mi venne voglia di tornare subito a casa per dire ai miei: «Mamma‘, sentito il fatto di Massimo Troisi?» e aspettare conforto materno nella risposta. Al mutismo adolescenziale della risata, si è poi aggiunta quest'anno la sordità musicale sotto la soglia dei quaranta (i miei, dico). Ora infatti, non c'è più nemmeno Pino Daniele. «Anch'egli tradito dal cuore…» e bla bla bla.
Come la mettiamo e come la togliamo, questo è: sono morti, uno non fa più film, l'altro non fa più canzoni. Sì, ok, l'eredità che ci lasciano è molto importante.
«Ma per esempio nun putive murì tu al posto di Troisi? Almeno ce ne facevèmo tutte risate».
Io l'ho cercata la reincarnazione di Massimo Troisi nei nuovi comici, nelle nuove battute, nei film, nei tormentoni. Poi ho capito che dovevo cercare l'evoluzione, poi ho finito per pensare che se nessuno l'aveva imitato o era troppo bravo o non lo era affatto e oggi, oggi che ci hanno abbuffato di premi Troisi, di videocassette Troisi, Dvd Troisi, adesivi Troisi, mutande e cazettini Troisi, il rapporto è diventato privato: non ne parlo più tanto, nemmeno per dire «Mammamia ma quanto mi fa ridere ancora, ma quanto era avanti, lui Totò e Eduardo e poi il nulla…» non faccio nemmeno più paragoni con quelle chiaviche che si atteggiano a registi, a autori, a comici e invece sono carte e cartuscelle piene di luoghi comuni, senza passato e senza memoria, sottoprodotti del mercato dello spettacolo, epifenomeni dello stereotipo "made in Napoli" che come la mamma del cretino, è sempre incinta.
Per me il napoletano non ride più. Cioè ride per ridere, perché non è che sono finite le battute sulla faccia della Terra. Ma quella frase che aleggia lì, mezzo secondo, su quella smorfia furba e triste e poi deflagra nell'aria comprensibile da Taormina a Bolzano, non l'ho più vista a Napoli. Così come non ho più sentito – se non nelle mie cuffie, ogni giorno, quella chitarra che a un certo punto camminava di pari passo. Ma con quest'altro cazzo di guaio faccio i conti negli anni a venire: non me ne sono ancora fatto capace.