Morto Boss delle Cerimonie: don Antonio Polese e La Sonrisa, tra luci e ombre
Il Boss delle cerimonie don Antonio Polese morto oggi a 80 anni, nella sua lunga carriera di imprenditore è andato incontro a svariate ombre. L'ultima vicissitudine giudiziaria, in ordine di tempo, la confisca del cosiddetto ‘castello', il complesso La Sonrisa di Sant'Antonio Abate che secondo una sentenza del tribunale di Torre Annunziata è sorto su una lottizzazione abusiva risalente al periodo 1979-2011. Di qui l'ordine di sequestro, datato 9 novembre 2016. I giudici in quella occasione hanno anche condannato a un anno di reclusione la moglie e il fratello di Polese, intestatari dell'immobile e hanno anche disposto che il Comune di Sant'Antonio Abate acquisisca al suo patrimonio la struttura.
I ‘ricordi' di Raffaele Cutolo in carcere
Non è l'unica vicenda giudiziaria che nei decenni ha toccato don Antonio, all'anagrafe Tobia Polese, passato da fornitore di macelleria e poi una lunga vita spesa nella ristorazione. Re dei matrimoni ‘alla napoletana' all'ombra del Vesuvio, uomo col pallino della canzone, dei vip e della televisione, passione quest'ultima che l'ha reso celebre e ha fatto la fortuna del suo sfarzoso ristorante, Polese ha dovuto affrontare anche numerose pendenze. Nel marzo 2014 il giornalista Claudio Pappaianni per l'Espresso pubblicò un reportage all'interno del quale si dava conto d'un colloquio intercettato in carcere tra l'ex capo della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo e la nipote, riguardante un investimento fatto su un luogo dove per anni si è tenuto anche il "festival della canzone napoletana". Riferimenti che secondo il giornale avrebbero portato al famoso castello dei matrimoni.
Il castello del re della Nuova camorra
C'è dell'altro, andando a ritroso. E riguarda un altro castello, non quello delle cerimonie kitsch. Il defunto imprenditore nel 1983 fu coinvolto nel maxi-blitz contro la Nco cutoliana. «Fu processato – scrisse l'Espresso – perché ritenuto, insieme ad altri tre soci, implicato nella compravendita del Palazzo del Principe di Ottaviano, il famigerato castello di Cutolo confiscato nel 1991 dallo Stato, dove don Raffaè teneva i suoi summit». Polese per tutta risposta, in una intervista alla giornalista Veronica Bencivenga per l'emittente tv Piùenne replicò di essere stato condannato solo per favoreggiamento (2 anni e 6 mesi) e non per associazione a delinquere. «Fummo costretti a comparlo» disse. Insomma egli dichiarò di essere stato vittima di una estorsione. La giornalista Veronica Riefolo su Julienews diede parola a Polese che raccontò la sua vita e difese strenuamente la sua onestà di imprenditore.
L'interrogazione parlamentare contro La Sonrisa
Don Antonio trascinò in tribunale l'allora deputato Gennaro Migliore, oggi sottosegretario Pd alla Giustizia nel governo Renzi. Motivo: Migliore, insieme all’esponente di Sel Arturo Scotto, aveva presentato un'interrogazione parlamentare sui legami tra l'uomo e Raffaele Cutolo. Il giudice, lo scrive nel febbraio 2016 il giornalista Vincenzo Iurillo sul Fatto Quotidiano, diede torto al ‘Boss delle cerimonie', ritenendo il rilievo all'interno del diritto di cronaca e critica. Ulteriore interrogazione sull'argomento fu presentata al Viminale dall'allora deputata, oggi europarlamentare Pina Picierno.
I matrimoni e gli ospiti ‘scomodi' alla Sonrisa
Nel 2004 la Sonrisa fece da scenario al matrimonio tra Marianna Giuliano, figlia di Luigi Giuliano, alias Lovigino capo dell’omonimo clan storico di Forcella, e Michele Mazzarella figlio del boss di Santa Lucia; in anni precedenti la cerimonia di nozze tra Gioacchino Fontanella e Maria Carfora, appartenenti ritenuti entrambi legati alle cosche di Sant'Antonio Abate. Sono due informazioni emerse sempre dall'interrogazione Migliore-Scotto. Di recente, invece, polemiche per la presenza di pregiudicati per reati di droga nella trasmissione tv di Real Time: erano tra coloro che avevano organizzato una festa nel castello. La linea di difesa, seppur non mai esplicitata è sempre stata quella di non sapere e non poter sapere di eventuali pendenze criminali dei clienti dell'albergo-ristorante.