«Che cosa c'è dentro di te in questo inizio avanzato di millennio?». La domanda con la quale si apre il romanzo La Dismissione di Ermanno Rea riguarda Bagnoli ma anche chi ha vissuto gli ultimi vent'anni aspettando la rinascita dell'area Ponente della città, rimasta invece immota, mentre gli anni avanzavano, i capelli imbiancavano e tutto intorno cambiava, mentre e le carte e cartuscelle dei progetti sull'ex Italsider di Napoli si accumulavano una sull'altra prendendo polvere insieme a speranze, sogni, discussioni e danaro pubblico, arrivato a pacchi e utilizzato, anche se non si capisce ancora a beneficio di chi.
Chi come me è nato alla fine degli anni Settanta in questa fine di anni Dieci del Nuovo Millennio ha tagliato, taglia o taglierà il traguardo dei quaranta. C'è qualcosa che anche augurandoci una vita lunga e bella (gesti apotropaici a parte) dobbiamo accettare: la nostra generazione probabilmente non vedrà nascere la Nuova Bagnoli. Pure se i lavori iniziassero il 1 gennaio del 2019, quanto ci vorrà prima che un tessuto sociale, imprenditoriale, culturale, si ricrei lì dove per decenni ci furono fumi di carbon coke e colate di cemento e dove oggi c'è un grande vuoto di opere, di potere, di speranze?
Sollevare un drone sull'ex area siderurgica di Bagnoli è come fissare uno squarcio nella carne in una sala operatoria e considerare la possibilità di richiudere senza operare. La bonifica fu fatta? Fu efficace? Le opere realizzate che fine faranno? Sembra di stare a Chernobyl dopo il fallout nucleare: tutto è fermo ad uso e consumo della vegetazione che nel frattempo ha ripreso il sopravvento, unico elemento di vita in una zona morta per volontà e responsabilità precise.
C'è un Parco dello Sport che fu realizzato e non è stato usato nemmeno per un giorno, c'è un acquario rimasto chiuso, un centro per le tartarughe marine che va a pezzi. Ci sono miliardi di euro andati in fumo, ci sono le promesse di sindaci, presidenti di regione, commissari di governo vecchi e nuovi, c'è un disastro così imbarazzante che per essere definito ha bisogno di prendere in prestito una parola tedesca, quella terra in cui bombardamenti e muri non hanno fermato efficienza e progresso: fremdschämen. Ovvero quell'inarrestabile senso di vergogna che si prova quando qualcuno fa o dice qualcosa di talmente imbarazzante che ci si vergogna per lui.