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Opinioni

Napoli, conti del Comune disastrosi: dossier della magistratura sulle aziende partecipate

Per i giudici della Corte dei Conti le riforme delle società comunali adottate da Palazzo San Giacomo “hanno raggiunto solo parzialmente gli obiettivi”. Bocciata la fusione delle tre società dei trasporti Anm, Metronapoli e NapoliPark nel 2012 e la nascita della NapoliHolding. Critiche le situazioni di Caan e Terme di Agnano.
A cura di Pierluigi Frattasi
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La Corte dei Conti “boccia” la gestione delle società partecipate del Comune nell'era de Magistris. Palazzo San Giacomo negli ultimi anni ne ha approvate due: la prima nel 2012, in occasione della presentazione del piano di risanamento per il pre-dissesto; la seconda nel 2015, come prevedeva la riforma Cottarelli sulla spending review delle partecipate. Ma entrambi i piani, secondo i giudici contabili, non hanno raggiunto i risultati sperati. Falliti i benefici della fusione dei trasporti. In liquidazione Terme di Agnano, Elpis, NapoliSociale, Consorzio dei Liquami di San Giovanni, Acn e Sirena. In concordato preventivo fallimentare Anm e Caan. Mostra D’oltremare ha presentato nel 2017 un piano Economico-Finanziario quinquennale per il rilancio della sua redditività. Eccetto pochi casi virtuosi, come il passaggio dell'ex Arin, la società dell'acqua, in Abc, l'azienda speciale dell'acqua pubblica.

È questo il quadro che emerge dalla pronuncia 119 della Sezione di Controllo della Corte dei Conti della Campania – presidente Fulvio Maria Longavita, relatore Francesco Sucameli, consiglieri Rossella Cassaneti, Alessandro Forlani, primo referendario Emanuele Scatola – all'esito della camera di consiglio del 27 maggio scorso. Nella relazione, il Collegio ha “approvato con modifiche il referto sull’attuazione del piano di razionalizzazione delle società partecipate del Comune di Napoli”.

Il flop della NapoliHolding

Fallita la riforma del 2012 che si proponeva di ridurre le partecipate da 17 a 12, fondere le tre società dei trasporti Anm, Metronapoli e Napolipark, accentrare nella costituenda NapoliHolding la nuova Anm nata dalla fusione, assieme a NapoliServizi, Asìa e NapoliSociale, mettere sul mercato il 40% dell'Anm e dismettere le società minori. L'obiettivo era ridurre i costi e portare in equilibrio il sistema dei trasporti pubblici, che all'epoca avevano perdite costanti.

“Fusione Anm, nata società inefficiente”

Ma, per i giudici, il Comune c'è riuscito solo in parte. La fusione dei trasporti tra la vecchia Anm (la società dei bus) che aveva i conti in rosso e le più sane Napolipark e Metronapoli, ha finito col far collassare anche le due società che avevano i bilanci in ordine. Mentre la nuova azienda nata è risultata, invece, “inefficiente”.“Il processo di aggregazione – scrivono i giudici – non è riuscito a trasmettere modelli di efficienza dalle società in bonis a quelle in crisi; viceversa, ha portato alla creazione di un soggetto complessivamente inefficiente, non in grado di assicurare un ciclo economico in equilibrio”.

Mai avvenuto l'ingresso dei privati in Anm

Il 40% dell'Anm, poi, non è mai stato messo sul mercato. “Una mancata cessione che è apparsa, alla luce dei dati contabili esaminati, come evidenza di un difetto della capacità di programmazione ovvero di una programmazione non sempre supportata da analisi economiche-statistiche e di mercato congruenti”. Non solo, perché, “allo stato attuale, la possibilità di procedere alla alienazione di parte del pacchetto azionario è necessariamente condizionata dall'esito della procedura concordataria cui l'azienda è stata ammessa ed all'avvio a cura della Regione delle procedure di gara per l'affidamento dei servizi di TPL”.

L'accentramento nella Holding, inoltre, non si è mai realizzato pienamente, ma si è limitato solo al controllo dell'Anm. Sono rimaste fuori, invece, Asìa, NapoliServizi e NapoliSociale. Molte delle società minori che dovevano essere accorpate sono andate in liquidazione prima delle fusioni, perché la “crisi strutturale di talune di esse ne ha imposto direttamente la liquidazione”.

La riforma della NapoliHolding è completamente naufragata, poi, nell'agosto 2018 (delibera 66 del consiglio comunale), secondo la ricostruzione della Corte dei Conti, quando il Comune “ha stoppato la razionalizzazione consistente nella concentrazione delle partecipazioni nella predetta Holding, atteso lo scenario di crisi che ha investito l’Anm. Nel 2015, infatti, a causa, delle perdite accumulate, le azioni di Anm sono state sostanzialmente azzerate in “valore”. Di conseguenza, l’obiettivo di concentrare le partecipazioni dei poli di erogazione di servizio (ad eccezione del settore idrico) in Napoli Holding stessa, è venuto meno”.

Fallita anche la riforma del 2015 voluta da Cottarelli

Non centrati, finora, neanche gli obiettivi del piano di riorganizzazione delle partecipate della seconda riforma del 2015 (Piano Cottarelli). “Non in tutte le partecipate, infatti, i consigli di amministrazione sono stati ridotti con la nomina di amministratori unici”. Mentre le società più importanti – NapoliHolding, Anm, Caan e Mostra d'Oltremare – continuano a registrare “sensibili perdite” di bilancio, secondo i giudici, che si basano sui dati fino al 2017.

Il giudizio critico della Corte dei Conti

Secondo i magistrati contabili, “il processo di razionalizzazione iniziato nel 2012 non ha ancora prodotto le efficienze complessive cui mirava, almeno sul suo versante core, che attiene alla vicenda di aggregazione di Anm”. Meglio, invece, la situazione di NapoliServizi: “il piano di razionalizzazione avviato nel 2014, tra le società Napoli Servizi, Elpis e Napoli Sociale sta producendo i suoi effetti positivi in quanto a fronte di perdite cumulate del 2014 pari a – 5,7 milioni si è giunti ad una società aggregata, Napoli Servizi 2017, con un utile di 0,5 milioni di euro”.

Critico, tuttavia, il giudizio finale. “Complessivamente – scrivono i giudici – il comparto società partecipate del Comune continua a produrre costanti perdite, che vanno ad erodere i patrimoni netti con improvvise quanto non dominate situazioni di default societario cui il Comune ed il sistema di finanza pubblica sono poi chiamati a porre rimedio dinanzi all’alternativa tra interruzione del servizio e mero soccorso finanziario”.

“Tale soccorso peraltro, a causa della conclamata crisi finanziaria del Comune, già in piano di riequilibrio, si traduce in richiesta di concordati o operazioni di rifinanziamento “economico” che non apportano reale liquidità, in grado di tamponare la crisi dei rapporti finanziari con i creditori e i fornitori”.

La mancata spending review

Nel mirino, la mancata spending review. “In primo luogo, quelli relativi alla riduzione degli oneri di autoamministrazione, specie per gli organi dirigenti. Questo, per esempio, riguarda gli organi dove non è stato ancora adottato l’amministratore unico”. Ma anche il mantenimento di partecipazioni minuscole (“pulviscolari”), come quella dello 0,5% in Gesac, “che immobilizzano inutilmente risorse finanziarie”.

“I contratti delle aziende col Comune sono insufficienti a coprire i costi”

“In generale – prosegue la Corte dei Conti – le richiamante situazioni manifestano evidente insufficienza dei contratti di servizio a sostenere il flusso dei costi delle partecipate, rinviando al futuro possibili problemi a causa dell’erosione del patrimonio netto. In buona sostanza, lo squilibrio di bilancio degli organismi partecipati è destinato ad emergere solo quando è talmente grave, strutturale e conclamato da coinvolgere il bilancio dell’ente dominus”, cioè il Comune, “poiché determina l’impossibilità della prosecuzione dell’attività aziendale”.

Le raccomandazioni dei giudici

I giudici quindi sollecitano “la creazione di un adeguato sistema dei controlli interni e l’adozione di misure organizzative periodiche che verifichino le condizioni di mantenimento di singoli organismi e l’esigenza di misure correttive sul sistema delle partecipate, onde evitare che per il bilancio comunale la spesa per tali organismi si riveli di fatto priva di copertura e insostenibile finanziariamente”.

All'allarme dei magistrati il Comune ha risposto a maggio, prima della pronuncia, chiarendo di aver rafforzato il controllo analogo sulle partecipate già dal 2016. Per i giudici, però, “Resta tuttavia inteso che le azioni di risanamento, inizialmente fissate dal Piano di razionalizzazione delle partecipate, di cui la Sezione ha riscontrato l’inattuazione, anche parziale, devono essere oggetto di adeguato controllo strategico”. Richiamando il Comune a valutare tutte le azioni, “in quanto il mantenimento di società o partecipazioni che non soddisfano obiettivi di efficienza ed effettiva erogazione dei servizi essenziali costituisce una irregolarità che potrebbe, nel tempo, causare eventuali danni all’erario”.

Il focus sull'Anm

I magistrati si soffermano a lungo sui conti dell'Anm, l'azienda dei trasporti. Rilevando come dal 2012 al 2017 “la riorganizzazione di Anm non ha risolto i problemi di fondo, ma ha solo procrastinato negli anni la risoluzione delle problematiche di efficienza del servizio e di copertura finanziaria del medesimo, mediante ricapitalizzazione “precarie” e l’accesso a procedure di concordato preventivo”.

Bocciata per i giudici la fusione tra la vecchia Anm, Metronapoli e Napolipark. “Vi è stato il mancato raggiungimento dell’obiettivo del processo di aggregazione, in quanto le predette economie sono comunque insufficienti a creare processi efficienti nel nuovo soggetto aggregato. Si registra inoltre un incremento dei costi, dal 2013 al 2015, dovuti al processo di aggregazione di diverse società, trasformatisi in rami di azienda dell’ANM (Napoli Park e Metronapoli)".

"L'analisi, infatti, dimostra come la fusione abbia annullato i risultati d’esercizi positivi di Metronapoli e Napolipark, anziché accrescere quello di ANM. Inoltre, estendendo il criterio (somma cumulata) alla valutazione non solo dei costi, ma anche del patrimonio netto (PN), si può facilmente dimostrare come la somma del PN al 2012 di MetroNapoli e ANM – pari, rispettivamente, a 30.526.342 e 89.383.057 (totale cumulato 119.909.399,00) – a confronto con il PN dell’ANM al 2017 (che include entrambe le società post aggregazione), evidenzi un chiaro peggioramento (– 10.217.591)”. In conclusione, “la fusione ha finito per generare la crisi finanziaria endemica anche dei rami di azienda aggregati (le ex società autonome Metronapoli e Napolipark)”.

Bacchettata sul parcheggio Brin

A marzo 2017, il Comune approva una delibera per salvare l'Anm che prevede la ripatrimonializzazione con il conferimento di alcuni beni comunali per 65 milioni di euro. Di questi, però, viene trasferito all'Anm solo il Parcheggio Brin, valutato circa 10 milioni di euro. Ma i giudici sono scettici sull'operazione. “Nonostante la crisi di ANM sia soprattutto finanziaria – scrive la Corte dei Conti – sul versante della ricapitalizzazione, il Comune ha provveduto conferendo un asset immobiliare-aziendale, consistente nel parcheggio multipiano denominato Autosilos Brin".

"Non è stato chiarito se e in che misura, l’asset sia in grado di aggiungere redditività operativa ad ANM, atteso che lo stesso bene, cosi come precisato nella nota del 14 maggio 2019, era già a disposizione della Napoli park (incorporata in ANM) e si è provveduto unicamente a trasferirne la proprietà ad ANM, così da contribuire alla relativa capitalizzazione, senza tuttavia riuscirne a migliorare il conto economico”.

Il piano industriale del 2017 poi non andò in porto, perché si basava su presupposti che non si realizzarono, come l'aumento da parte della Regione Campania dei contributi da 54 a 63 milioni. “Sulla vicenda è in atto un contenzioso in quanto il Comune di Napoli afferma che la Regione sia venuta meno ad un accordo amministrativo vincolante”. A dicembre 2017, l'Anm ha presentato allora domanda di concordato preventivo fallimentare. In parte attuato, come la riduzione dei costi e i 194 esuberi. In parte non attuato, come l'aumento del biglietto corsa singola a 1,30 euro. In quest'ultimo caso, il Comune “ha osservato che ad ostacolo dell’innalzamento delle tariffe si pone l’interposizione della Regione Campania”.

L'analisi della Corte dei Conti sull'Anm, tuttavia, si ferma al bilancio 2017. Lo scorso giugno, però, l'azienda ha approvato il bilancio 2018 che dimostra un netto miglioramento, con un utile di quasi 9 milioni di euro.

I casi del Caan e della Mostra d'Oltremare

Tra i casi delicati sotto i riflettori dei giudici anche il Caan (Centro Agroalimentare di Volla) e Mostra d'Oltremare. Per il Caan si rilevano “consistenti e strutturali perdite. Per quanto concerne tale Consorzio, infatti, recentemente ammesso a concordato preventivo, le perdite registrate in questi anni sono indice di uno squilibrio strutturale affidato da un piano la cui capacità di risanamento deve essere verificata già nel prossimo ciclo di bilancio. Stessa cautela deve abbracciare la situazione di Mostra d’Oltremare”.

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Giornalista professionista dal 2016, per Fanpage.it segue la cronaca di Napoli, con particolare riferimento ai settori politica, istituzioni, trasporti, Sanità, economia. Ha collaborato in passato con i quotidiani “Il Mattino”, “Roma”, “Il Fatto quotidiano.it” e con l'agenzia di stampa Italpress. Nel 2014 ha vinto il Primo Premio al Premio di Giornalismo “Francesco Landolfo”. Per l'attività giornalistica svolta è stato ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche (tra le quali Agorà, RaiRadio2, TgCom24, Radio Kiss Kiss Napoli, Radio Marte, Radio Amore Napoli, Canale 8). Moderatore di convegni e dibattiti pubblici per Provveditorato per le Opere Pubbliche della Campania e Molise, Banca Fideuram – Intesa Sanpaolo, Eurispes. Ha svolto attività di ricerca scientifica di carattere storico-economico. È autore dei saggi pubblicati su Meridione, Sud e Nord del Mondo: "La ristrutturazione industriale negli anni ’70 del Novecento. I salvataggi Gepi di imprese campane" (Esi, 2013), "Espansione e sviluppo dell’industria aerospaziale campana negli anni ’70 del Novecento" (Esi, 2013), e "Pensiero meridiano e politiche europee per il Mediterraneo" (Esi, 2010).
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