Chi fra i cronisti ne ha scritto nel corso di vent'anni sa che il nome di Antonio Bassolino nasconde un intoppo. Il correttore automatico cambia automaticamente quel cognome in Sassolino. Bassolino, Sassolino. «Con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose», diremmo, rifugiandoci in Dante Alighieri. Un ex potente esponente di Forza Italia negli anni Novanta di questo particolare ne fece una sorta di rubrica con tutti gli ‘inciuci' che uscivano da Palazzo Santa Lucia. Cambia todo cambia. Il sassolino è stato macigno, sabbia. Ora è ritornato negli ingranaggi. Ma da un'altra parte.
Non è il 1993, non siamo appena entrati nell'epoca di Tangentopoli. Siamo nel 2016. Nel frattempo Tangentopoli è entrata in noi; siamo in una Napoli in cui il sindaco in carica sfodera slogan da Raul Castro e secondo i sondaggi elettorali privati delle ultime settimane si appresta ad affrontare una vittoriosa, pressoché priva d'ostacoli, cavalcata elettorale. Antonio Bassolino, lo scrivevamo nelle ore immediatamente successive la sua sconfitta alle primarie Pd non è più il re taumaturgo di Napoli. Una considerazione messa nero su bianco prima che tre cronisti di questo giornale giungessero in redazione con ore di filmati girati tra i seggi elettorali di Scampia, Piscinola e San Giovanni a Teduccio. Video da cui nasce una considerazione: i capibastone del Partito Democratico sono vivi e lottano insieme a noi. Insieme, contro, poco importa. Le primarie di Napoli sono state una farsa come quelle del 2011. Non per i cingalesi (o cinesi, o srilankesi) in fila ai seggi. Ma per il controllo, per l'organizzazione blindata dei flussi di voto in una competizione interna che niente al voto d'opinione e alle convinzioni programmatiche. Solo truppe – a volte perfino brutalmente consigliate e rimborsate – con matita in pugno.
Nel 2011 fu un video amatoriale girato in piazza Plebiscito a scatenare il putiferio. Nel 2016 la stessa cosa è avvenuta con un video frutto d'una inchiesta giornalistica e di un ragionamento. Cinque anni dopo ‘il caso dei cinesi' era chiara la convinzione che a Napoli nulla fosse cambiato in certe logiche di consenso. Chiara per i cittadini, chiara per i giornalisti. Che pazientemente hanno acceso i riflettori e le telecamere. Quel che avete visto è quanto: non c'è granché da aggiungere alle immagini. C'è però altro da dire su Bassolino, oggi sassolino meridionale nella scarpa del Partito Democratico di Matteo Renzi.
«Si è pensato per anni di poter tranquillamente trascurare l'immagine nerissima che di Napoli e della classe dirignte locale si andava costruendo nella stampa nazionale, senza percepire bene la portata delle conseguenze rovinose dell'identikit che di essi così si imponeva nell'opinione locale e in quella nazionale, né la forza emarginante che (fosse azione deliberata, fosse comodo cliché professionale, fosse onesta convinzione) l'immagine negativa di Napoli finiva con l'avere rispetto alle divergenze di interessi fra le varie parti del Paese e alla possibilità di far valere (se ce ne fossero state l'intenzione e la capacità) il problema di Napoli a livello nazionale». Lo storico Giuseppe Galasso, intervistato da Percy Allum così parlava di Napoli, del potere democristiano,di quello laurino e dell'avvento del Partito Comunista poco meno di 40 anni fa (il colloquio è del 1978). Il destino dei pensieri lucidi è quello di restare solidi a prescindere dal tempo che passa: queste riflessioni finiscono per essere analisi puntuale di quel che è accaduto decenni dopo col potere bassoliniano e di ciò che accade oggi con quella che – con tutta la buona volontà – non riusciamo a definire come "l'epoca De Magistris" ma solo come il post-bassolinismo nell'era (quella sì, ne ha tutti i connotati politici e sociali) di Matteo Renzi.
L'indifferenza per come il riverbero dei fatti napoletani venisse distorto dai media e percepito dal resto d'Italia è tratto comune della precedente classe politica e dirigente partenopea e di quella che ne ha ereditato i cocci. Concentrando la nostra analisi su Bassolino è interessante notare come l'ex governatore – che durante l'emergenza rifiuti in Campania fu stordito da questo riverbero – abbia stavolta mosso rapidamente e con decisione lo specchio ustorio dell'opinione pubblica indignata per il disastro delle primarie del 6 marzo non contro i suoi avversari interni, ma contro l'attuale establishment di partito nazionale. Crono non ha aggredito i figli come in una pittura nera del Goya, ma il Pd renziano. Che a Roma è potente ma a Napoli è un vascello con una temperatura di autoignizione così bassa da prendere fuoco in un attimo. Dunque il caso primarie è diventato altro: modo per aggredire la leadership di partito e voce dissonante che dal Sud (dove ci sono già bei problemi) può destabilizzare l'incontenibile cavalcata del leader alle prossime elezioni politiche. Che pian piano si avvicinano. Insomma, nella città del sole chi può permettersi di spostare questo specchio ustorio dell'opinione pubblica ha, come si dice, "il boccino in mano". E veniamo proprio alle bocce.
Raffaele Cantone, garante dell'Anticorruzione nominato del governo Renzi in questi giorni – con una similitudine ripetuta più volte – ha dichiarato alla stampa che le primarie Pd sono fatto privatistico. «È come si votasse in una bocciofila». La Federazione italiana bocce ha un regolamento di 19 (diciannove!) pagine suddiviso in 15 articoli; una bocciofila comunale a caso, quella di Saint Vincent, 4.600 anime e un casinò in provincia di Aosta, ha uno statuto di 26 (ventisei!) articoli. Giusto per ricordare a Cantone che non è relegando le primarie a processo non inserito nei codici che le si rende slegate (e immuni) da ogni valutazione. E se qualcuno considera antica la metafora delle bocce siam pronti ad americanizzarla. Ci viene incontro il Grande Lebowski. Non il drugo in persona, ma il fido Walter. «Questo non è il Vietnam, è il bowling, ci sono delle regole!». Già, ci sono delle regole. Anche a San Giovanni a Teduccio, anche a Piscinola, anche a Scampia. Proprio così.