Una stroncatura a tutto tondo, nessuno spazio per letture alternative della decisione che ha messo la parola fine al processo cosiddetto “carburanti” a carico dell’ex sottosegretario e leader campano di Forza Italia, Nicola Cosentino, dei fratelli Giovanni e Antonio, di funzionari pubblici e piccoli imprenditori del settore, accusati a vario titolo di riciclaggio, estorsione, tentata estorsione, reati aggravati dal metodo mafioso. La Cassazione (seconda sezione penale, presidente Domenico Gallo, relatore Piero Messini D’Agostini) ha depositato ieri le motivazioni della sentenza, emessa il 4 giugno scorso, che aveva confermato la decisione della Corte di Appello di Napoli e mandato assolti gli imputati con la formula più ampia (disposto anche il dissequestro dell’Aversana Petroli, la cassaforte della famiglia Cosentino).
Le motivazioni della sentenza Cosentino
Ricostruendo gli esiti dei processi di primo grado e di quelli opposti del giudizio di secondo grado, la Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze della pubblica accusa. “I ricorsi – è scritto – debbono essere rigettati perché proposti con motivi infondati ed in parte generici o non consentiti”. E ha rinnovato la bocciatura delle risultanze investigative oltre che la inattendibilità delle parti civili, primo fra tutti Luigi Gallo, per le quali i giudici di appello avevano disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Napoli perché procedesse per falsa testimonianza. Per la Corte, dunque, non c’è prova che Giovanni Cosentino abbia cambiato assegni per conto del clan dei Casalesi: ne fanno fede, come avevano rilevato i giudici di secondo grado, le documentazioni contabili depositate dalla difesa ma anche le confuse e vaghe dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, generiche e contraddittorie: tre pentiti avevano indicato Cosentino come il dominus dell’attività di riciclaggio; altri il fratello Nicola.
E ci sono prove di segno contrario rispetto all’accusa di estorsione in danno di Luigi Gallo, imprenditore del settore idrocarburi, che avrebbe voluto aprire un distributore di carburanti a pochi metri da un analogo impianto della famiglia Cosentino. Iniziativa, hanno stabilito il giudici della Corte di Appello e da quelli di legittimità, che era stata stoppata dal Comune di Villa di Briano non già per le indebite pressioni sul sindaco fatte da Nicola Cosentino, ma per un atto di autotutela del Comune stesso, essendo quell’attività inibita dalla legislazione vigente a quel tempo. Stop confermato dal Tar anche in sede di merito.
Tutti fatti, hanno stabilito i giudici di piazza Cavour, che erano stati correttamente esaminati dai colleghi napoletani, arrivati a conclusioni opposte rispetto a quelli del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, tre anni fa, avevano condannato tutti gli imputati. Nicola Cosentino, imputato in cinque differenti processi, per questi fatti era stato arrestato il 3 aprile del 2014, cinque mesi dopo aver guadagnato la libertà perduta a causa di altri due provvedimenti cautelari che gli erano stati notificati il 15 marzo 2013, alla scadenza del mandato parlamentare e delle relative guarentigie. Il primo provvedimento è del novembre del 2009, l’accusa è di concorso esterno, il procedimento è quello che va sotto il nome “Ecoquattro” e tratta la gestione criminale del ciclo dei rifiuti con e ingerenze della politica nella gestione del consorzio di bacino Caserta 4. Il 16 novembre del 2016 è stato condannato a nove anni di reclusione; il processo di appello è in corso. Qualche mese dopo, a gennaio del 2010, la genesi del processo cosiddetto P3, con il dossieraggio a carico di Stefano Caldoro, all’epoca candidato pectore alla guida della Regione Campania.
Quasi due anni dopo (il 6 dicembre 2011) un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere: quella del processo cosiddetto de “Il Principe e la (scheda) ballerina” e in cui è definito il “referente nazionale del clan dei Casalesi”. L’accusa è di reimpiego di capitali mafiosi. Il 21 aprile 2017 è stato condannato a 5 anni di reclusione. Avrebbe agevolato una cordata di imprenditori dietro ai quali si muoveva il figlio del capoclan Francesco Schiavone, Nicola (da quasi un anno collaboratore di giustizia). Il processo di appello è in corso.
Nicola Cosentino, ottenne gli arresti domiciliari cinque mesi dopo, i domiciliari. A novembre, la scarcerazione collegata alla sua assenza dalla politica. Ad aprile del 2014 di nuovo il carcere, a Secondigliano, dove avrebbe corrotto alcuni agenti della polizia penitenziaria che lo avevano agevolato durante la detenzione facendo entrare in cella cibo, un iPod e altri oggetti non consentiti. definitiva, la pena interamente scontata.