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Uccidere un giornalista, pagare per 35 anni i suoi killer. Ma Giancarlo Siani resta. Loro no

Dal giorno in cui l’hanno ucciso e fino a oggi, i killer di Giancarlo Siani sono stati regolarmente stipendiati dalla camorra, hanno avuto la pensione da assassini dal più grande sistema di welfare della Campania. La camorra ha pagato, ha pagato migliaia di migliaia d’euro. Ma la storia che è rimasta è quella di Giancarlo, giornalista ‘overamente’.
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Questa nella foto è la tessera professionale di Giancarlo Siani, iscritto all'albo dei Giornalisti pubblicisti nel 1982, ucciso il 23 settembre 1985 dalla camorra. Dal giorno della sua morte e fino a oggi, i killer di Siani sono stati regolarmente stipendiati dalla camorra, hanno avuto la pensione da assassini dal più grande sistema di welfare della Campania. Ciro Cappuccio e Armando Del Core, entrambi condannati all'ergastolo, dopo aver trucidato il giornalista a bordo della sua auto Mehari – oggi simbolo di libertà di stampa e coraggio  – tornarono nel loro covo per festeggiare insieme ai mandanti. Solo dopo anni la giustizia riuscì ad assicurarli definitivamente alle patrie galere, nel frattempo però i due carnefici avevano stipulato la polizza con la più solida delle compagnie, la Camorra spa, quella malavita maranese che da Cosa Nostra aveva preso l'organizzazione verticistica, l'efferatezza ma anche la regola aurea di farsi Stato nello Stato.

Anche quando le due famiglie criminali, i clan Polverino e Orlando, si facevano la guerra, non hanno mai fatto mancare il sostegno economico alle famiglie dei killer del giornalista abusivo del Mattino. Questa storia oggi emerge grazie all'operazione dei carabinieri e della Direzione distrettuale di Napoli "Polvere 3", che ha inflitto un ulteriore colpo ai mafiosi di Marano.

Le mesate ai parenti dei carcerati , questa sorta di pensione, questa cedola staccata mese dopo mese, questa rendita di sangue, a cosa serviva? Dal punto di vista simbolico indubbiamente a rappresentare un esempio: così ‘o sistema mantiene chi sta dentro e si è fatto valere fuori e dietro le sbarre. Dal punto di vista pratico la domanda non è peregrina: Cappuccio, Del Core, le loro famiglie quali segreti custodiscono? Quali rapporti tengono in piedi per esser degni di cotanta preoccupazione?

Trentacinque anni sono tanto tempo. All'epoca il presidente della Repubblica era Francesco Cossiga, governava Bettino Craxi; in tv Renzo Arbore iniziava "Quelli della notte". In tutto questo periodo, ogni mese del calendario che Dio mandava in terra sono arrivati, puntuali, i danari a casa Del Core e Cappuccio.

Quella di Giancarlo è stata una storia clamorosa, ha rappresentato una cesura nella storia del giornalismo italiano. Il primo giornalista ucciso in Campania, il giovane, il precario che si stava facendo valere non piegandosi ad alcuna logica di omertà né di potere politico, soltanto cercando di fare la cronaca, giorno dopo giorno, senza soluzione di continuità, con spirito di sacrificio, guadagnando poco e male, faticando bene e assai.

Per chiarire i contorni del suo assassinio ci vollero anni tra false piste, bugiardi e indagini sconclusionate. Dopo la vicenda giudiziaria, intorno al giornalista-giornalista non è nato un altarino come si poteva temere, bensì una pluralità di voci limpide, intense, forti, costruttive, di speranza: grazie al fratello Paolo, questo vociare era di ragazzi, soprattutto di ragazzi, che si sono raccontati la sua storia nelle scuole, in eventi pubblici, hanno ascoltato e hanno posto domande. Hanno saputo, hanno capito. Sono nati libri meravigliosi come ‘L'Abusivo' di Antonio Franchini e bei film. La camorra ha pagato, ha pagato migliaia di migliaia d'euro. Ma la storia che è rimasta è quella di Giancarlo, giornalista overamente.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. È autore del libro "Se potessi, ti regalerei Napoli" (Rizzoli). Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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