Omicidio vigilante, così la polizia ha stretto il cerchio intorno al branco
Innanzitutto le immagini: la telecamera di videosorveglianza di un privato aveva ripreso i tre minori che hanno ucciso il vigilante di Scampia Franco Della Corte la notte tra il 2 e il 3 marzo scorso. Erano le 3 di notte, poco si riusciva a intuire sui volti degli autori di quel gesto orribile, sette o otto bastonate sulla testa assestate mentre la vittima era di spalle. Per questo, il pool investigativo coordinato dal dirigente del Commissariato di Scampia Bruno Mandato si è concentrato su una particolare andatura: due dei tre ragazzi avevano il braccio non perfettamente simmetrico al corpo. Poi c'è stata un'intensa attività informativa sul territorio: si è visto che, tra i giovani e giovanissimi di Piscinola e Scampia, tanti si radunano in Piazza Tafuri. Una piazza con un bar e un circoletto, niente altro. Tantissimi sono là tutto il giorno, altri fino a notte inoltrata a non fare nulla, perché nulla c'è da fare da quelle parti. Dopo alcune irruzioni in questo circolo, il cerchio si stringe: un ragazzo con quel particolare tipo di andatura. Tra le frequentazioni, c'erano altri quattro giovanissimi, ma si arriva poi finalmente ai tre grazie a un'intensa attività tecnica che scatta a questo punto.
In commissariato i tre ragazzini hanno confessato l'omicidio
Portati in ufficio, i tre hanno confessato l'omicidio. Importantissimo il ruolo dello "sbirro sul territorio", che ha lavorato raccogliendo informazioni ed elementi e conosce benissimo il contesto. Un'indagine classica e serrata in piena regola che ha permesso di scoprire la verità. I tre giovanissimi arrestati e accusati di omicidio volontario erano sempre in giro, non studiavano né lavoravano: giovanissimi allo sbando. Uno dei tre, interrogato, si è tirato fuori da questa azione di arancia meccanica sul vigilantes, negando di avervi partecipato attivamente. Ma di fatto, come emerge dalle loro stesse dichiarazioni, il piano è stato ideato e portato avanti insieme. Dalle immagini di videsorveglianza, il giovane che sostiene di non aver partecipato all'azione prepara e predispone l'aggressione insieme agli altri due. Nessuno dei ragazzi appartiene a famiglie legate alla criminalità, ma il contesto sociale è evidentemente molto segnato dalla precarietà e dal degrado. Le famiglie sono perlopiù disgregate, i genitori portano avanti la famiglia sbarcando il lunario, con lavori saltuari e malpagati.
Dai profili Facebook dei ragazzini emerge chiaramente l'aspetto del "rione" e del gruppo come quello preponderante: in posa di sfida contro tutti, si chiamano "vita mia" e utilizzano l'emoticon del sangue per richiamare legami forti e ancestrali, ma emergono anche accostamenti irriverenti e discutibili; uno dei ragazzi, quello che sostiene di non aver partecipato all'azione e di voler diventare calciatore, elogia Totò Riina, appena morto, su Facebook accompagnando la foto del boss alla frase "Certe cose prima si fanno e poi si dicono".