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Opinioni

Perché il “Comitato d’inchiesta” anticamorra di De Magistris nasce sbagliato

De Magistris presenta i suoi esperti anticamorra. Tra i convocati vi sono autorevoli giornalisti, docenti universitari, parenti di vittime della malavita. Ma il nome di questo tavolo di riflessione ha dell’orribile: “Comitato d’inchiesta”. Ecco perché nasce col piede (anzi, col nome) sbagliato.
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La battaglia è per il rispetto delle parole. Sottraendo verità alle parole s'avanza  quella cortina di fumo che poi nasconde gli "storytelling", le narrazioni tanto abusate e dannose nella politica italiana. Qualche mese fa il sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha convocato autorevoli esponenti del mondo accademico, del giornalismo, dell'arte dell'associazionismo anticamorra per dar vita ad un tavolo di ragionamento sui fenomeni malavitosi all'ombra del Vesuvio. Non si tratta di "teste d'uovo" ma di personalità realmente legittimate a parlare sull'argomento. C'è Sandro Ruotolo, giornalista d'inchiesta, volto noto e apprezzato, candidato con Ingroia tre anni fa, zio di Alessandra Clemente, giovane punta di diamante dell'amministrazione De Magistris dalla fortissima storia anti-clan. C'è lo sceneggiatore e scrittore Maurizio Braucci, intellettuale sobrio e serio, c'è l'inviato speciale del Mattino Gigi Di Fiore, memoria storica dei confitti di camorra documentati sui luoghi, consumando le suole delle scarpe e non attraverso le fotografie; c'è Marcello Ravveduto, uno dei più apprezzati storici campani, autore di decine di pubblicazioni sui fenomeni malavitosi e di un toccante volume sulla storia di Libero Grassi, eroe civile ucciso dal racket. C'è poi Susy Cimminiello, la sorella del tatuatore Gianluca, ucciso per essersi opposto ai clan. C'è infine il valente docente Pino Ferraro. Insomma: ci sono bei nomi.

E questi bei nomi hanno tuttavia messo piede in un contenitore il cui nome, appunto, è orribile, degno di un parto delle nuvole pesanti in una fumosa riunione del Pentapartito negli anni Ottanta. «Comitato di inchiesta per conoscere e proporre strategie di contrasto e prevenzione dei fenomeni di illegalità, corruzione e criminalità della città di Napoli». Comitato d'inchiesta?

E andiamo a vedere cosa significa inchiesta. Trattasi d'inchiesta giornalistica? No, certo. Per quelle ci sono i giornali e una Amministrazione comunale non può fare giornalismo in house (al massimo una certa politica può ‘ammaliare' giornalisti con scarsa spina dorsale, ma questa è un'altra storia).  «Indagine ordinata dall'autorità competente, volta ad accertare particolari fatti ed eventuali responsabilità» (dizionario Sabatini-Coletti dixit). Il Comune è competente nel capire quel che accade in città? Sicuramente. È competente nell'accertare responsabilità? Nell'ambito dei procedimenti amministrativi sicuramente.

Ma cosa può appurare con giornalisti, storici, sceneggiatori e docenti universitari, sulla camorra, il Comune? Quali responsabilità? Da addossare a chi, poi? Per scrollarsi da quali, soprattutto? Dunque no, il "Comitato d'inchiesta" non si può sentire, è sconfortante pensare che un sindaco debba avviare inchieste para-istituzionali.  Pensa forse d'avere i poteri del Parlamento, il sindaco della città autonoma? Vorrebbe a questo punto risolvere tre-quatto misteri d'Italia?

In effetti manca un giallista: la città abbonda di commissari, brigadieri, tra serie tv e romanzi. Forse bisognerebbe convocarne uno per chiudere il cerchio della narrazione parallela: da una parte la realtà, a destra e sinistra i due estremi, quella cupa post caravaggesca (oggi gomorresca, o tempora o mores) e quella da cartolina social, con vividi colori da Instagram.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. È autore del libro "Se potessi, ti regalerei Napoli" (Rizzoli). Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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