Dal mese di marzo del 2013 a martedì 13 settembre 2016. La vicenda che ha portato alla morte per suicidio Tiziana Cantone, 31 anni, è racchiusa in tre anni e mezzo, in una storia che, visto il suo epilogo va raccontata risparmiando aggettivi e valutazioni d'ogni tipo. Tiziana era giovane, bella, piena di vita, è morta per non aver retto il peso di alcuni suoi filmati hard privati che sarebbero dovuti rimanere nella cerchia privatissima di coloro che erano coinvolti e che invece sono finiti nel carnaio della pornografia amatoriale con tanto di dati anagrafici della protagonista femminile, diventata suo malgrado un personaggio del mondo hard, situazione che nel corso degli anni è diventata per lei insostenibile, a tal punto da togliersi la vita impiccandosi nel garage di casa.
Cosa è successo prima della diffusione in Rete dei video hot? Cosa c'era fra Tiziana e il suo ex, quel Sergio Di Palo, napoletano, 44 anni, che oggi è a processo per calunnia, falso e accesso abusivo a dati informatici? Nel novembre 2016 la Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord ascoltò Di Palo. Tiziana era morta da pochi mesi e l'eco intorno alla tragedia risuonava con la violenza d'una colpa su tutti: i siti web che sfruttando la vicenda fecero da cassa di risonanza, chi tentò di lucrarvi (e forse vi riuscì) i protagonisti di vergognose discussioni a mezzo social network ma al centro di tutto – dolori e rabbia- vi furono anche e soprattutto coloro che conobbero Tiziana Cantone e che con lei condivisero, nel bene e nel male e a vari livelli, quei tre anni e mezzo. I pm sostituti procuratori Rossana Esposito e Alessandro Milita all'epoca ascoltarono il quarantenne imprenditore partenopeo, esponente di quella che un tempo avremmo definito ‘Napoli bene' e che ora, in confusione su cosa sia effettivamente bene e cosa sia effettivamente male all'ombra del Vesuvio definiamo soltanto come persona abbiente.
Sergio Di Palo racconta ai magistrati la sua verità. Racconta di aver iniziato un rapporto con la giovane nel 2014, di averla presentata alla sua famiglia quando era n vacanza ad Ischia, di averci poi convissuto a Pozzuoli e averla sostenuta nelle spese, concedendole l'uso di una automobile, di una carta prepagata, di averle concesso l'utilizzo di una carta di credito «quando doveva fare qualche acquisto più importante». Insomma, di aver instaurato un rapporto sentimentale sostanziato anche dalla fiducia materiale e tuttavia non visto bene dalla madre di lei, la signora Maria Teresa Giglio, poi diventata portavoce delle istanze di giustizia e verità dopo il suicidio della figlia. «Ricordo – racconta Di Palo ai magistrati – che Tiziana litigò con la mamma perché ci tenne a precisare che era stata una sua scelta quella di andare a convivere». Dinamiche familiari, dunque. Dinamiche che lasciano il tempo che trovano visto lo sviluppo successivo della storia. E il suo tragico epilogo.
«Trovo un certo imbarazzo parlare dei rapporti personali avuti con Tiziana», dice, rispondendo alle domande dei magistrati Di Palo che il prossimo 18 dicembre 2018 sarà dinanzi ai giudici della quinta sezione penale del tribunale per l'inizio del processo, difeso dall’avvocato Bruno La Rosa. Il ‘gioco' è poi spiegato: «Provocare altre persone per eccitare il partner, senza andare però oltre semplici ammiccamenti». Nella decina di pagine di «assunzione di informazioni» Di Palo racconta poi che vi fu una evoluzione dalle parole ai fatti, che vi furono rapporti, consenzienti, con altri uomini. E racconta di «70-80 video» registrati su un iPhone, presumibilmente di rapporti intimi. «Ero a conoscenza di tutti gli incontri che avvenivano» risponde l'uomo alle domande degli inquirenti e poi racconta l'epilogo della storia sentimentale. «Io e Tiziana ci siamo lasciati il 29 luglio 2016 […] ad ottobre 2015 ci siamo lasciati per cause di forza maggiore» e sostiene che sia stata la madre di Tiziana a imporre l'allontanamento «dopo aver letto i messaggi dei ‘giochi' privati e fantasie erotiche».
C'è poi il racconto di un fatto drammatico che prelude a quanto purtroppo accaduto, un tentato suicidio, non andato a fine o forse soltanto inscenato. Ma comunque un campanello d'allarme suonato pochi mesi prima l'irreparabile: «Tiziana nel mese di marzo-aprile 2016 mi mandò una fotografia con una busta in testa scrivendo in un messaggio il suo intento di suicidarsi – dichiara Sergio Di Palo – . Io contattai subito la madre rappresentandole di recarsi nella camera di Tiziana per vedere cosa stesse facendo». La donna viene seguita, secondo quanto riferito, da due terapeuti, uno psichiatra e una psicologa. «Quanti fra i settanta e/o ottanta video che ha fatto Tiziana lei ha condiviso e quanto ne sono stati mandati in Rete? Io rispondo: che io sappia sono stati mandati solo i 6 video di cui abbiamo parlato».
Arriva poi il periodo dopo l'estate 2016. Sono i mesi che precedono il suicidio di Tiziana Cantone, avvenuto a metà settembre. Si descrive una donna disperata per l'esito del reclamo da lei presentato per la rimozione dei filmati diffusi senza il suo consenso in Rete. «L'avvocato – depone l'uomo – mi riferì che Tiziana aveva firmato una rinuncia per il reclamo».
«Se mi sono dato una spiegazione? Non so darle». A domanda risponde, Sergio Di Palo. E riafferma ancora una volta la sua verità nel tentativo di spiegare ai magistrati perché Tiziana si è tolta la vita nella casa materna a Mugnano: «Forse è successo nelle ultime 24-36 ore prima del suicidio. Qualcosa l'avrà turbata anche dopo la pubblicazione della sentenza. Le posso dire che quando stava con me era tranquilla, serena. Nei giorni prima del suicidio non mi ha dato motivo di preoccupazione. Tiziana piuttosto era in pensiero con me perché temeva che io facessi qualche brutto gesto, atteso che non facevo più vita sociale».
Di certo c'è solo che Tiziana è morta per essersi impiccata con un foulard in casa sua. Non sarebbe dovuto accadere, non ci sono responsabilità assegnate dalla magistratura a chicchessia: l'inchiesta per istigazione al suicidio è stata archiviata. Il processo potrà fare chiarezza su alcuni aspetti. Ma non riportare indietro le lancette dell'orologio, né dare giustizia ad una mamma.