La pizza di Carlo Cracco? Sicuramente non è una pizza napoletana. Ma andiamo con calma e ragioniamoci. L'arte dei pizzaiuoli napoletani è patrimonio dell'Umanità, dice l'Unesco. E, come ogni patrimonio che si rispetti, deve sopportare le variazioni sul tema. La Gioconda non ha forse ha la sua copia coi baffi? E non ci sono imitazioni su imitazioni delle serigrafie di Andy Warhol? Dei quadri più belli di Van Gogh ci sono perfino proiezioni-show su schermi cinematografici. Però poi l'opera d'arte è l'opera d'arte: ne riconosciamo e accettiamo la riproducibilità ma quando vogliamo guardare negli occhi Monna Lisa andiamo al Louvre.
La pizza – senza esagerazioni, senza ‘borbonismi' da quattro soldi, senza localismi ridicoli – dovrebbe però essere un po' così. Variata, modificata perché è bello mischiare e cambiare (anche se quella con l'ananas fa effettivamente ribrezzo) ma riconosciuta nella sua ricetta originale. E Carlo Cracco, lo chef televisivo, sferzante e stellato (le stelle sono meno degli altri anni, dice la Guida Michelin, ma siamo certi che si rifarà col nuovo ristorante in Galleria a Milano) dovrebbe approcciare a questa tradizione pluricentenaria con maggior rispetto.
Cracco propone pizza con lievito naturale e farine biologiche macinate a pietra. Francesco Loiacono che per Fanpage.it è stato a Milano, nel bistrot dell'ex stella di Masterchef, amico di Antonino Cannavacciuolo (ma non gli poteva chiedere un consiglio?) ha annotato queste sensazioni visive, di gusto e d'olfatto: «Si vedono diversi cereali aggiunti alla farina, che costituiscono un insieme disomogeneo, scuro e, come si vedrà all'assaggio, croccante. La salsa di pomodoro (San Marzano) è molto densa, simile al sugo rappreso dei ragù: a puntellare la salsa anche dei pomodorini confit. La mozzarella è di bufala: non fila, sono fette tagliate spesse e disposte a mo' di fiore sulla superficie della pizza. A completare il tutto del basilico: non in foglie ma in semi, che si uniscono fino a dare l'impressione di essere more o altri frutti di bosco».
Perché l'ha chiamata, dunque, pizza? Inserendola tra l'altro nel menù degli «snack» (e che è, una merendina? Ma per piacere… con una pizza buona fai pranzo o cena). Perché la fa pagare la bellezza di 16 euro, quando il mondo intero sa che uno dei successi della pizza è proprio la sua armonia tra ingredienti, la sua semplice preparazione e il suo costo contenuto? Un consiglio spassionato allo chef: scenda dalle stelle e venga tra i vicoli di Napoli, non dai pizzaiuoli star, ma tra quelli che quotidianamente, tra i vicoli, senza sosta, preparano pizzelle a portafoglio, sontuose pizze fritte, calzoni. E riempiono bocca, occhi e naso di odori, sensazioni, sapori e tradizioni facendo di questa pietanza un qualcosa di unico al mondo.