«Buongiorno e chi esce? Ccà ascimmo e si turnammo è sulo una questione ‘e mazzo». È la strofa di una canzone dei 99 Posse, "Buongiorno", che mi sono ripetuto per molte mattine, percorrendo il corridoio arancione della stazione Colli Aminei della metropolitana di Napoli e poi il corridoio celeste della Pneumologia dell'ospedale Cardarelli di Napoli. Se usciamo e torniamo sani e salvi è solo una questione di fortuna, mi ripetevo: per mesi in un reparto di malattie polmonari non ho visto una mascherina per i pazienti, per settimane (luglio 2019) al Cardarelli mancavano le lenzuola pulite e bisognava portarsele da casa. Per alcuni giorni è mancato un farmaco banale per tenere sotto controllo la pressione arteriosa. La domenica via-vai di ragazzi di bar e pizzerie, una sera passò perfino un questuante con le immaginette di Padre Pio: fu preso a calci nel culo perché in una stanza c'era un ragazzo che moriva, separato dagli altri solo da una tendina. La mattina che iniziò un giorno, ma per noi era l'inizio di una fine, le sale intensive erano occupate. Tutte le rianimazioni erano occupate e fu usata una camera operatoria per il paziente intubato, in attesa che si liberasse l'intensiva, sempre che non fosse accaduto altro. Cioè – fecero capire – bisognava attendere una morte. Aspettammo. Tutto accadde.
Questa è una storia personale ma il cronista ne ha sentite tante in 23 anni di lavoro. È anche per fatto personale che si scrive: un dovere e un amore. Dunque ricordo a me stesso e a chi legge perché la pandemia di Coronavirus, qualsiasi sarà il bilancio, non dovrà far dimenticare quanto abbia fatto e faccia schifo il sistema sanitario in Regione Campania, al netto delle eccellenze personali e collettive, dei piccoli e grandi sacrifici di donne e uomini collocati un sistema inadeguato.
Liste d'attesa, macchinari fermi, strutture vetuste, province sguarnite, mancanza di igiene, di empatia, di professionalità: basta sfogliare le cronache dei mesi antecedenti per rendersi conto. La memoria non è suonno ‘e fantasia.
Ricordo a me stesso la storia dei Dpi, i dispositivi di protezione individuale, le mascherine dalle varie sigle oggi implorate da amministratori sanitari, medici, infermieri, operatori socio sanitari, autisti di ambulanze, guardie giurate. Io non ho mai visto le mascherine indossate in anni di frequentazione – per lavoro e per vita vissuta – negli ospedali della Campania. Un tempo erano un inutile orpello, tranne che nelle camere operatorie, un accessorio prêt-à-porter.
Il povero Cardarelli si prende le colpe di tutti perché è il più grande. Siete mai stati al Sant'Ottone Frangipane di Ariano Irpino? Al San Luca di Vallo della Lucania? Al San Giuliano di Giugliano, al Landolfi di Solofra, all'Addolorata di Eboli, al Moscati di Aversa? Presidi ospedalieri avamposto di una battaglia perduta: il sistema sanitario della Campania era devastato prima del Covid-19. Oggi sono arrivati soldi – una marea – e andranno nella realizzazione di ospedali modulari (leggasi prefabbricati) contro il Coronavirus.
Una immagine su tutti vi deve restare ben chiara nella mente. Oggi, mentre sto scrivendo, a Ponticelli, periferia Orientale di Napoli, sta nascendo un ospedale prefabbricato nel parcheggio auto di un (vero) ospedale, nuovo di zecca. È l'Ospedale del Mare. Oggi, mentre sto scrivendo ci sono piani e strutture dell'Ospedale del Mare vuoti perché inutilizzati. Chi parla di questo coi giornalisti – medici e infermieri – viene messo sotto procedimento disciplinare dall'Azienda Sanitaria Locale Napoli 1. Forse questa è l'applicazione del famoso metodo Wuhan.
Non mi addentro nel caso dei tamponi Covid-19. Ne sono stati fatti pochi? Ne è stato fatto il giusto numero? La medicina non è una scienza esatta: questo purtroppo sarà stabilito ex post, quando la vicenda sarà storia. E la storia, si sa, la scrivono i vincitori. Per questo motivo è necessario rimettere a posto trono e scettro e non fare di Vincenzo De Luca l'imperatore della Campania. Non per partito preso, ma per i fatti che hanno preceduto la pandemia di Coronavirus e che hanno trovato il sistema sanitario regionale totalmente impreparato non ad un qualcosa di inatteso, cioè un virus nuovo, senza vaccini, senza precedenti, ma alla quotidanità.
Non «abbiamo fatto un miracolo», non «abbiamo salvato la Campania» come il presidente della Giunta regionale della Campania dice, usando il plurale maiestatis. Alla fine di questi tragici mesi conteremo milioni spesi non per ammodernare un sistema e potenziarlo innanzi ai virus presenti e quelli futuri, ma ospedali container e province remote ancora sguarnite del necessario. Si pensa al Coronavirus, ed è giusto. Ma dai giornali e dalla memoria da pesce rosso di molta gente è sparito un dato: si muore di tumore, si muore di ictus, di infarto, di diabete non curato, si muore pure di altre malattie respiratorie.
Gli ambulatori chiusi, la mappa dei medici di base ferma a logiche da "Medico della mutua" di Alberto Sordi, un sistema politico baronale cui dobbiamo nomine di manager e primari: ecco cos'è la Campania e chi si occupa di sanità da più di tre mesi non può tacere.
Oggi vi è una mitridatizzazione circa l'ammissione del fallimento del sistema sanità in Campania. Ospedale significa malattia, dolore, e nel peggiore dei casi morte. Invece per noi, oggi, è indispensabile aver fiducia: si può guarire, c'è gente che riesce a curare, farci rinascere. Se venisse a mancare questa convinzione si scivolerebbe nella disperazione. Dunque è umano svicolare, sviare, scappare. Ma non ci si può permettere il lusso di minimizzare, di archiviare, di semplificare.
A Vincenzo De Luca va ascritto il merito politico di aver saputo sublimare la rabbia del popolo verso l'ingiusto castigo della pandemia: lo ha fatto con divieti e lanciafiamme o con l'annuncio di chiudere i confini della Campania. Politicamente egli è stato capace di scippare perfino la connotazione identitaria al centrodestra: oggi è davvero un governatore di processi, decisioni, di annunci mediatici. Governa perfino i media stessi e non quelli tradizionali attraverso i quali era abituato a veicolare il proprio pensiero.
Il video Facebook, veicolo eterodiretto e adatto alla polarizzazione è il brodo di coltura ideale per la crescita del consenso politico/elettorale verso una fascia di popolazione – quella giovane, dai diciotto fino ai quarant'anni – che finora lo vedeva come il nonnetto di Salerno un po' incazzoso e ora invece percepisce l'uomo forte, l'Orfeo, lo sciamano, capace di "far arrivare la voce a Roma".
Non solo sterile orgoglio e connotazione identitaria alla De Magistris, quindi, ma anche risorse economiche, bonus e assegni, un linguaggio decisionale, autoritario, melodie suadenti per chi vota a destra (o Movimento Cinque Stelle) e oggi vede in "Vecienzo" l'uomo che ti tira fuori dall'emergenza Coronavirus e fa arrivare anche qualche soldino sulle pensioni di anzianità, alle famiglie con figli, alle piccole imprese, agli artigiani e alle partite iva.
Se l'attuale si vedrà solo in futuro, il dato politico non cancella il pregresso che non va paragonato distorsivamente alle altre regioni (la gestione della Lombardia è un'altra storia e chi la governa risponderà di altre nefandezze): com'è arrivata la sanità campana al redde rationem col virus? Come ne uscirà? C'è una parte della popolazione che potrà cantare «scurdammece ‘o passato», chi fa cronaca no. E nemmeno chi ha visto coi suoi occhi il disastro fra le corsie d'ospedale.