La bomba sociale. È stata denominata così la situazione che si sta vivendo a Mondragone negli ultimi giorni. Il problema è prima sociale e poi sanitario, per questo è una bomba. Chi sta assistendo alle rivolte cittadine, alle auto incendiate e alle manifestazioni ai limiti della zona rossa sa bene di cosa parliamo. Non si tratta di razzismo e nemmeno di xenofobia, era una mina vagante che quando è scoppiata non ha meravigliato chi ci vive.
È facile parlare di razzismo, è più semplice che attraversare i corridoi dei pianerottoli dei palazzi ex Cirio per rendersi conto cosa si sta respingendo e non chi. Un vaso di Pandora al quale nessuno teneva granché, tenuto in bilico su un tavolo zoppo, mosso costantemente da microcriminalità e caporalati, in una terra dei fuochi che ora non si stupisce di essere bollata focolaio.
Sì perché la zona dei palazzi ex Cirio non è in periferia, si staglia nel cuore della cittadina, a ridosso del Viale Margherita, centro pulsante del commercio e dello shopping, e della Domiziana, arteria che attraversa Mondragone e tutto il litorale domizio, dove adesso ci si stava apprestando a iniziare la stagione balneare. Altra ferita che brucia di questo improvviso focolaio, visto che lì si vive anche e soprattutto di quel po’ di turismo che è rimasto. Il mare resta una sua prerogativa ma non si sa se potrà rappresentare una risorsa in questa estate già molto precaria e dopo i graduali tagli del turismo che la cattiva gestione dell’intero territorio ha generato.
Un abbandono totale a un destino immeritato per una zona che negli anni Settanta e Ottanta è stata la meta estiva di personaggi famosi e ricchi possidenti, intenzionati a mettere radici nelle villette delle varie baie che arrivano fino a quella Domizia, dove ci si trasferiva per due o tre mesi all’anno per godere delle bellezze paesaggistiche, delle terme naturali della Sinuessa, di mozzarelle e vino esportati in tutto il mondo. Poi lo scenario è cambiato. La conversione di intere parti della città a ricettacolo di traffici di vario tipo, lo sversamento dei rifiuti che ha avvelenato le campagne e gli allevamenti, la costante condanna dell’abusivismo. Una terra che si risolleva di continuo e riparte, accusando i segni di una stanchezza inevitabile.
I Palazzi ex Cirio, come per le Vele di Secondigliano, non hanno mai meritato una riqualifica. Sono diventati la base operativa per l’indecorosa gestione di forza lavoro extracomunitaria, nel silenzio generale di forze politiche e istituzioni. Più volte i cittadini hanno provato a porre la questione alle autorità locali per far sì che questo ‘conflitto’ non fosse tradotto in ostilità, bensì in un segnale d’allarme. Invano. Nel tempo, con la complicità di chi ha fittato quelle case per due soldi nella completa indigenza, in assenza di altro tipo di introito vista la penuria dei turisti, e ha pompato la cattiva fama del ‘quadrilatero della vergogna’ in pieno centro cittadino, la situazione è degenerata e per questo ha continuato ad essere mal digerita.
È facile ora parlare di razzismo, di caccia allo straniero, di xenofobia figlia di un’ignoranza data per scontata, mentre si sta giocando con le vite di tutti con un pallottoliere truccato, perché ci sono le fughe di chi non ha speranze altrove eppure ha paura di restare e le incursioni nella zona rossa di chi si è stancato di assistere impotente al di là delle transenne. C’è la disperazione generale per una situazione che può degenerare e compromettere quello spiraglio di luce, sia sociale che economico, che si è iniziato a intravedere dopo lunghi mesi di lockdown.
La disperazione che fa perdere lucidità, che non può conoscere ragioni e rende impossibile un altro tipo di isolamento: quello dei colpevoli.