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L'arte del pizzaiuolo napoletano patrimonio UNESCO

Carlo Cracco e l’immoralità di una pizza a 20 euro

L’offesa di Carlo Cracco alla pizza, alimento “del popolo” per eccellenza è proporla ad un prezzo da status symbol. Lo chef lasci stare il più popolare tra i piatti napoletani e italiani: proponga nel suo bistrot a Milano a prezzi d’oro altre pietanze, non snaturi l’identità di questo orgoglio nostrano.
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Carlo Cracco potrà fare la pizza che vuole, come vuole. Non è una pizza margherita napoletana, l'abbiamo già detto e scritto a suo tempo, ma comunque gli riconoscevamo (ovviamente) il diritto di presentare ciò che voleva ai suoi clienti.

Sul prezzo no, sul prezzo forse è giusto fare un ragionamento. Una pizza a 20 euro – tanto ha pagato lo scandalizzato utente napoletano nel bistrot di Cracco in Galleria a Milano, c'è lo scontrino a testimoniarlo – è immorale. Si tratta di un piatto povero, la cui preparazione è stata addirittura riconosciuta patrimonio dell'Umanita dall'UNESCO grazie anche al fatto che si tratta di un "piatto del popolo" adatto a tutte le tasche.

Proporre una pizza a 20 euro (40mila vecchie lire!) è ridicolo se si pensa che nulla di quegli ingredienti autorizza ad un prezzo del genere. Si, è vero: non è obbligatorio mangiarla da Carlo Cracco. Ma è pur vero che lo chef potrebbe "caricare" economicamente altri piatti con preparazioni e ingredienti ben più complessi e costosi. Lasci stare la pizza. Anzi, la lasci alle mani, al palato, all'olfatto (e alle tasche) del popolo. Non è uno status symbol (e peraltro la sua è pure una ciofeca).

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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