Da narcotrafficante a Garante dei detenuti. Questa è la storia di Pietro Ioia, che dopo aver scontato la sua pena in diverse carceri italiane ed europee, come racconta, aver cambiato vita "per amore dei suoi figli", oggi è stato nominato dal sindaco Luigi de Magistris Garante dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale per il Comune di Napoli. Un incarico gratuito, come specificato nel bando a cui Ioia ha preso parte. Pietro Ioia è stato il primo a denunciare le presunte violenze che si sarebbero perpetrate all'interno del carcere di Poggioreale, a Napoli, nella cosiddetta cella zero. La cella zero sarebbe una cella non numerata, una sorta di sala d'aspetto, dove alcuni reclusi hanno denunciato di aver subito percosse da alcune guardie penitenziarie. Oggi è in corso il processo per stabilire se queste denunce raccontino o meno la verità su quanto accaduto nel carcere napoletano. Con Fanpage.it, il neo Garante prova a indicare i punti principali del suo mandato, della durata di 5 anni.
Pietro Ioia, che significato ha questa nomina?
«Questa nomina significa che se si vuole si può cambiare. Si può diventare vero uomo. Fa capire, ancora di più, che non solo Pietro Ioia può cambiare, ma chiunque. Anche il più grande criminale può cambiare vita in positivo. Non mi sarei mai aspettato di essere nominato Garante. Essendo un ex detenuto è tutto difficile, una volta ho cercato un lavoro e non me l'hanno dato. Anche in altre occasioni mi hanno rinfacciato che sono un ex detenuto. Non ci speravo, dico la verità».
Quali sono i tre punti che cercherà di portare avanti durante questo mandato?
«Visitare le carceri, la prima cosa. Quello che mi mancava prima, quando ero solo un attivista, era visitare i detenuti reclusi, non solo quelli usciti dal carcere. Combattere il sovraffollamento e poter parlare anche per il corpo della Polizia Penitenziaria che è sotto organico».
Ha avuto modo di confrontarsi anche con il Garante regionale Samuele Ciambriello?
«Stamattina sono stato da Ciambriello, gli ho portato due famiglie. Perché dove potevo arrivare io, arrivavo io. Quando non potevo fare molto portavo le persone da lui. Io e il professor Ciambriello collaboriamo già da diversi mesi, con i familiari dei detenuti. È stato sempre molto disponibile. Ha risolto diversi problemi».
Quando era giovane e scontava la sua pena, si aspettava di poter arrivare qui?
«Non me lo sarei mai aspettato. Per questo devo dare sempre di più. Voglio dimostrare anche al più grande criminale che si può cambiare».