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La lezione di Giuseppe Galasso: Napoli, né caso disperato né feticcio

Quarant’anni fa Giuseppe Galasso nel libro intervista su Napoli, sollecitato da Percy Allum parlava di una visione della città fuori dallo schema degli stereotipi celebrativi e al tempo stesso senza piagnistei. Una lezione che oggi andrebbe riproposta.
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Nella sua lunga e intensa vita Giuseppe Galasso, storico e uomo politico morto il 12 febbraio 2018 a 88 anni ha risposto a molte domande sulla Napoli d'un tempo e su quella recente. Nel corso degli anni molti giornalisti gli hanno chiesto di leggere l'attualità con la lente profonda e grandangolare del carico di passato d'una città complessa e ambigua. Galasso ha sempre tentato una risposta altrettanto profonda e altrettanto larga di vedute.

A tal proposito vi è un libricino straordinario che ha giusto 40 anni, pubblicato da Laterza , nel quale il professore risponde ai quesiti di un altro appassionato docente universitario,  il sociologo e politologo britannico Percy Allum che per molti anni visse a Napoli, la studiò e ne scrisse. Il volume è  "Intervista sulla storia di Napoli" definita da Galasso «vecchia grande città che da oltre un secolo non è più la capitale di un regno, com'era stata per quasi sei secoli, e non è riuscita, tuttavia, a trovare nel frattempo una dimensione nuova».

Il «problema aperto» (uno dei tanti) che conclude il lungo colloquio tra  i due intellettuali  è quello della percezione della città. «L'importante – dice Galasso ad Allum – che di Napoli non si faccia un feticcio né come caso disperato né come fatto di napoletanità. La napoletanità è tutta nella storia. Il caso disperato è un comodo luogo comune di evasione dalla responsabilità. Direi che mai come nel caso di Napoli va bene riconoscere alla questione molte radici, molte tendenze di sviluppo, molte possibilità di orientamento, molta disponibilità di forze attuali, molte potenzialità. E che, quindi, le risposte e le scelte semplicistiche,  a una dimensione, sono proprio le meno responsabili, le meno coraggiose».

Una lezione che ancora oggi mantiene intatta la sua attualità. Del resto arrivava da un napoletano che per sua stessa ammissione aveva con la città «un rapporto fisico, ancestrale, immediato»  con «le pietre, con i muri delle case, con le vie, con le piazze, col paesaggio». Difficile dire oggi se quest'eredità sarà mai raccolta e coltivata.

 

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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