«Luciano, questo non lo sanno in pochi, fu minacciato per aver girato quelle scene». Geppy Gleijeses parla dal palco del teatro San Carlo, quando si sono appena affievoliti i tanti applausi alla prima teatrale di "Così parlò Bellavista", il delizioso film di Luciano De Crescenzo ridotto per il palco. L'attore partenopeo, che nella pellicola interpretava Giorgio, il fidanzato-architetto "disoccupato e di buona famiglia" ora interpreta il ruolo che fu dell'ingegnere-filosofo, quello di Gennaro Bellavista, professore di filosofia in pensione. E, sciolta la tensione della prima, resta un po' sul palco con la compagnia – Marisa Laurito e Benedetto Casillo tra gli altri – e rivela questo piccolo particolare: De Crescenzo fu per così dire, ‘avvertito' quando girò la ormai celebre scena del camorrista. Breve riepilogo per coloro che non conoscono tutto il film: ad un certo punto Bellavista ha un dialogo con un camorrista che pretende il pizzo dal negozio che Patrizia, la la figlia del professore, ha in gestione insieme al compagno.
Il dialogo è uno dei punti più significativi del film: senza voler far pesare sul testo della commedia tutto sommato leggera (oggi si direbbe, sbagliando e semplificando, ‘buonista') l'onere di raccontare e descrivere il rapporto di Napoli con la camorra, De Crescenzo cesellò un ragionamento che ribaltava il concetto del potere e dei soldi di quelli che un tempo si facevano chiamare "uomini d'onore".
Dice Bellavista, rivolgendosi al malvitoso magistralmente interpretato da un altro grande della scuola attoriale napoletana, Nunzio Gallo:
«Ma tutto sommato, nunn'è che fate na vita ‘e merda? Perché penso io: Gesù sì, fate pure i miliardi, guadagnate, però vi ammazzate tra di voi, poi anche quando non vi ammazzate tra di voi, ci sono le vendette trasversali, vi ammazzano le mamme, le sorelle, i figli… Ma vi siete fatti bene i conti? Vi conviene?».
Per questa scena – ha rivelato Gleijeses solo oggi, nel 2018, Luciano De Crescenzo fu minacciato. Non stupisce, se ci caliamo nel periodo storico: erano gli anni Ottanta, la Napoli cinematografica faceva esplodere il fenomeno dell'ingegnere dell'Ibm che scriveva bestseller sulla filosofia, ma anche quella dell'antieroe ironico e tagliente Massimo Troisi e del Mi manda Picone di Nanni Loy. La Napoli dei vicoli invece era insanguinata dalle guerre di camorra tra cutoliani della Nco e Nuova Famiglia di Carmine Alfieri. Il controllo malavitoso del territorio era capillare, non stupisce che un film così popolare potesse suscitare reazioni contrarie.
Il caso del film Il Camorrista su Raffaele Cutolo
Del resto una cosa analoga capitò per un'altra pellicola, stavolta ben più drammatica, un altro cult partenopeo: Il Camorrista di Giuseppe Tornatore: in quel caso – lo raccontò anni fa uno degli attori – la scena delle minacce sotto il Centro Direzionale fu girata con un ciak che riportava il titolo di un film del genere poliziottesco, tipo "Napoli spara, Milano risponde". Se fosse trapelata la voce che si trattava di una pellicola sulla vita di Raffaele Cutolo, infatti, sarebbero sicuramente nati problemi (che comunque ci sono stati, ma solo di tipo giudiziario).