L'ammüìna, ovvero la definizione napoletana di "far confusione", si è piazzata così bene nell'immaginario collettivo che entrata perfino nel gergo marinaresco dove fare ammuina significa agitarsi a vuoto, solo per far vedere che si fa qualcosa.
Napoli, ammuina e mare. E quale miglior posto per una definizione simile se non il Lungomare partenopeo? Oggi c'era ammuina, sì.
La mattina di questo 4 maggio, un tempo giornata di scàsi, di sfratti, oggi giornata di ritorno – seppur parziale – alla normalità, la gente si è comportata come pecore nell'ovile appena aperto: nessuno si è mosso, all'inizio. La mattina è passata più che a uscire, a vedere se gli altri uscivano. Poi, come una catenella invisibile, una persona ha tirato l'altra e ancora e ancora.
Al crepuscolo il risultato era una Napoli di nuovo brulicante di gente, ancora insolitamente silenziosa, anche se il vociare è aumentato rispetto al silenzio orribile e pesante dei giorni passati.
Questo nei luoghi più frequentati: il Pallonetto di Chiaia, la Sanità, i Quartieri Spagnoli, la Duchesca alla Ferrovia, il Cavone di piazza Dante, i Cinesi a Capodimonte, Porta San Gennaro, Porta Nolana, Porta Capuana e ancora, il Ponte di Casanova, la Stadera, la via Epomeo, il corso Secondigliano eccetera eccetera. I grandi assi viari pedonali sono tornati allo struscio? Non proprio: i negozi sono in gran parte ancora chiusi. Ma oggi molti napoletani volevano una sola cosa: scendere e rivedere il mare.
Qualcuno è riuscito a stare due mesi senza, ha resistito stoicamente e doverosamente. Ma oggi, in barba ad ogni stereotipo, chissenefrega, dopo la pizza perché no, tornare a vedere il mare in una città di mare. E che mare: lucente, color smeraldo anche nei posti in cui eravamo abituati tristemente a vederlo ricettacolo di munnezza d'ogni tipo, schiumoso come in una novella del Marcovaldo di Calvino, poetico come una poesia di Neruda ma sottovalutato, tralasciato, come si fa molte volte con ciò che si ama: «tu mme lasse e io conto ll'ore… chisà quanno turnarraje?"
E il mare è tornato, non tetro come una dolore del giovane Peppe Lanzetta ma un mare nuovo, abbracciato, in attesa di abbracci tra la gente, dai napoletani. Da un osservatorio privilegiato, quello di un piano alto di uno stabile storico di Santa Lucia, nelle stesse stanze che videro giocare e rincorrersi i giovani Luciano De Crescenzo e Carlo Pedersoli/Bud Spencer, Napoli brulica e si affolla a guardarlo, a riscoprirlo nuovo: se oggi Anna Maria Ortese fosse qui, si ricrederebbe.
Ogni poesia porta una lacrima, come le spine d'una rosa. Succede dunque che l'abbraccio fra Napoli e il suo mare è stato un po' troppo forte. E quella ammuina deteriore, definita con un vocabolo che abbiamo imparato ad odiare, assembramento, si manifesta con la violenza di una colpa. Dunque oggi, nel primo giorno di allentamento dei divieti anti-Coronavirus, troppa gente si è assiepata come se niente fosse. E invece no, tutto è cambiato e questo qui non è un divieto "di scuola", è qualcosa di sostanziale e necessario per consentirci, quando il sole schiaffeggerà forte la città come abbiamo imparato a capire in questi anni, di tornare a prendere una boccata d'aria e non esser costretti in casa dalle curve di contagio.