È stato ribattezzato l'armadio della vergogna, perché al suo interno sono stati conservati per decenni fascicoli che raccontavano i crimini compiuti dai nazifascisti in Italia negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Oltre tredicimila pagine, alcune delle quali pubblicate online soltanto lo scorso anno, che testimoniano i reati più gravi commessi sul territorio nazionale a danno di migliaia di cittadini, ma tenute occultate per anni prima che tornassero alla luce per mano di Franco Giustolisi, giornalista de L'Espresso, perché fossero finalmente condannati i colpevoli e identificate le numerose vittime ancora senza un nome.
Tuttavia, i documenti che riguardano nello specifico la città di Napoli, ben 72 fascicoli su 696, non sono ancora fruibili. Per questo, dopo il lancio di una petizione sul sito Change.org, si sono riunite nel capoluogo partenopeo le commissioni Cultura e Scuola con alcuni esperti del caso per discutere sulla richiesta di acquisire digitalmente l'intera documentazione che riguarda la città all'ombra del Vesuvio. Questo materiale consentirebbe, infatti, di documentare la storia in gran parte occultata e dimenticata dei crimini commessi a Napoli e nella regione dai nazifascisti, e rimasti impuniti, oltre che a svelare menzogne storiche e a mantenere viva la memoria nelle generazioni future.
Che cos'è l'armadio della vergogna: tutti gli scheletri della guerra
Per anni è stato una sorta di armadio fantasma, collocato, con le ante rivolte verso il muro, per di più chiuse con una catena, all'interno di una stanza del Palazzo Cesi Gaddi, in via degli Acquasparta a Roma, sede della Procura Generale Militare. È stato il procuratore Antonino Intelisano a rivenire nel 1994 il guardaroba in uno sgabuzzino, mentre stava indagando sull'ex SS Erich Priebke per l'eccidio delle Fosse Ardeatine. La sua esistenza venne denunciata per la prima volta quell'anno da Franco Giustolisi, giornalista de L'Espresso, che, in una nuova inchiesta pubblicata nel 2000, gli diede il nome di "armadio della vergogna" con riferimento a ciò che custodiva al suo interno. Si trattava di 695 fascicoli d'inchiesta e un di Registro generale riportante 2274 notizie di reato, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l'occupazione nazifascista, dal 1943 al 1945, con nomi e cognomi delle vittime e dei loro carnefici. Tra i vari documenti, c'era anche un promemoria prodotto dal comando dei servizi segreti britannici, dal titolo "Atrocities in Italy", con tutte le testimonianze delle violenze subite dai cittadini italiani negli anni del conflitto mondiale. Nel 1960 tutta questa mole di informazioni venne occultata per ragioni che lo stesso Giustolisi definì politiche: processi che mettevano alla sbarra ex ufficiali dell’esercito tedesco con l’accusa di omicidio non avrebbero di certo giovato ai buoni rapporti tra Italia e Germania dell'Ovest. Poi, finalmente, quei fascicoli rividero la luce dopo cinquant'anni e vennero inviati alle procure militari competenti: ci sono i responsabili delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fivizzano, Civitella in val di Chiana, i nomi degli italiani deportati in Bassa Sassonia e di quelli uccisi vicino a Borek.
L'inchiesta parlamentare e la pubblicazione online di parte dell'archivio
Dal 2003 al 2006 è stata istituita anche una Commissione parlamentare, per iniziativa del deputato Carlo Carli, che ha indagato sui motivi che hanno portato ad occultare l'intera documentazione. Vennero formulate tre ipotesi, pur in mancanza di prove: la prima era, per l'appunto, determinata dalla volontà di mantenere buoni rapporti con il governo tedesco; la seconda da quella di evitare che si accendessero i riflettori anche sui crimini commessi dai militari italiani nel corso della Guerra e la terza dal fatto che probabilmente nazisti e fascisti avevano insabbiato i fascicoli, che quindi non potevano essere considerati veritieri. Infine, nel 2016, la presidente della Camera, Laura Boldrini, annunciò che parte dei documenti era stata desecretata e poteva essere consultata online sul sito dedicato, così che quella storia di sangue e silenzi fosse conosciuta da tutti i cittadini.
Il caso di Napoli
Dei fascicoli contenuti nell'armadio della vergogna, 72 riguardano la città di Napoli, ma nessuno di quelli oggi disponibili online ha un focus sulla città partenopea. Enzo Delehaye, cultore della storia e promotore di una petizione online con la richiesta di acquisire digitalmente l'intera documentazione, ha sottolineato come questo materiale consentirebbe di "documentare la storia in gran parte occultata e dimenticata dei crimini commessi a Napoli e nella regione dai nazifascisti, e rimasti impuniti". Inoltre, darebbe la possibilità anche di andare oltre la retorica sulle Quattro Giornate, come invece ha evidenziato il professor Aragno che ha dedicato studi e pubblicazioni alla storia della Resistenza napoletana. Entrambi hanno partecipato ai lavori delle commissioni Cultura e Scuola su questo delicato tema, a cui ha presenziato pure il senatore Giovanni Russo Spena, che fu membro e relatore di minoranza della commissione bicamerale di inchiesta che si occupò tra il 2003 e il 2006 dell'armadio della vergogna.
"Una Città come Napoli – si legge nel testo della petizione lanciata da Delehaye -, Democratica ed Autonoma, dovrebbe disporre dei documenti della sua Storia e renderli fruibili ai suoi Studiosi, affinché storie, stragi e massacri vengano rilevati e rivelati, svelati, raccontati, fatti diventare Memoria viva! Perché la Storia della Città di Napoli appartiene alla Città, intesa come sua Amministrazione e come sua Popolazione!". Sono più di mille le persone che hanno già firmato l'appello rivolto, tra gli altri, anche al sindaco Luigi De Magistris affinché il Comune si faccia promotore dell'acquisizione di questa massa di informazioni. Appello che, a quanto pare, non è rimasto inascoltato."Utile approfondire il contesto geopolitico nel quale una malintesa Ragion di Stato ha di fatto messo la sordina alle responsabilità di episodi tanto gravi", ha detto l'assessore alla Cultura Nino Daniele, aggiungendo che "Napoli, Medaglia d'Oro della Resistenza, darà ogni contributo possibile per fare luce su quel periodo".