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Covid 19

Coronavirus e Pizzalgia. Maledetta nostalgia della pizza (che si può sempre fare in casa)

Pizzalgia, ovvero nostalgia della pizza. A forni spenti, nei tristi giorni della quarantena da Coronavirus c’è chi se la sogna anche di notte. Si può sempre fare in casa: è uno straordinario atto d’amore che ci ricorda la nostra infanzia e i momenti felici. Che torneranno presto se ognuno farà la propria parte.
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Pizzalgia, chiamiamola così. Neologismo banale ma che tutto risolve: nostalgia della pizza. Potrebbe sì sembrare il nome di una malattia e di questi tempi il massimo non è. Ma il lettore non s'adonta. Un popolo noi siamo. Ci anzi autodenunciamo; se volete lo dichiariamo e con l'autocertificazione in tasca noi diciamo: di pizza malati siamo.

Dite la verità: quanti di voi se la sognano pure la notte? Margherita, marinara, capricciosa,  quattro formaggi, salsicce e friarielli, alla diavola. Al filetto, alle verdure,  con bufala Dop, bianca. Perfino col mais. Chi vive a Napoli ha poi un supplemento di Gòlgota, un supplizio topografico: chiudi gli occhi e immagini Spaccanapoli. In bocca senti la sensazione di fame, intorno vedi l'ammuina davanti al bancone, l'attesa condita da frittatine di pasta, zeppole e crocchè.

Guagliò, addo' sta ‘a pizza mia?

L'arte del pizzaiuoli napoletani nei giorni della clausura da Coronavirus è ancor più patrimonio dell'Umanità. Chi ha in casa un professionista di tal fatta è felice come lo scrofoloso che incrocia il re taumaturgo. E chi non ce l'ha? S'arrangia. L'antica manualità delle mamme e delle nonne odora di Dopoguerra. Il moto delle braccia si trasmette alla farina aggiunta d'acqua e olio : ecco a voi un miracolo che parte dall'immiscibilità. Poi un quadratino di lievito e sui nostri tavoli Ikea e Leroy Merlin nasce qualcosa che prima non c'era. La stanchezza della quarantena che cede il passo alla guittezza dell'aspirante cuoco. Sì, proprio così, siamo alle prese con la base della cucina italiana, il che vuol dire del mondo intero: preparare l'impasto per la pizza.

Pummarola e vasinicola, pomodoro e basilico: c'è chi tiene bandiere d'Italia fuori al balcone e chi dentro il forno a 480 Fahrenheit. E se a 451 era un capolavoro della letteratura, nella nostra teglia c'è una meraviglia che solletica olfatto, gusto e vista. Vedrete, torneremo a ordinarla: a portafogli, nel cartone, debordante dal piatto, a ruota di carro come le pizzerie napoletane di un tempo. Nel frattempo tra le quattro mura di casa l'addore ‘e pizza si diffonde e varca cancelli, trapassa mascherine, si infila  – sano, salubre, delizia del corpo e dell'animo – nel naso di chi sta al piano di sopra o di sotto, sullo stesso ballatoio, nel vascio affianco. E pure se non è il caso di mangiarla insieme ci guardiamo da distanza di sicurezza in tempo di pace. Maledetta nostalgia della pizza.  E sentiamo tutti la stessa frase: «Signo', avite fatto ‘a pizza?». Ed è subito casa, è subito tranquillità: con una pizza in mano nessuno ci può fare male. Almeno illudiamoci per un secondo che sia così.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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