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Opinioni

Nella trattoria Tufò di Posillipo le riunioni dei narcotrafficanti. Maxi-blitz, 24 arresti

La Guardia di Finanza ha arrestato 24 persone, nell’ambito di una inchiesta su un gruppo criminale che spacciava droga tra Lazio e Campania. I promotori sono stati identificati nel broker della droga Ciro Capasso e nel figlio Antonio, titolare della trattoria gourmet Tufò di Posillipo, dove si tenevano le riunioni del gruppo.
A cura di Nico Falco
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La trattoria Tufò di Posillipo, realtà imprenditoriale nata nel 2016 e che aveva subito riscosso successo, era uno dei luoghi dove si svolgevano le riunioni per concordare l'acquisto e la spartizione della droga. Emerge dall'inchiesta della Guardia di Finanza che ha portato oggi, 4 febbraio, all'arresto di 24 persone, considerate membri di una organizzazione in grado di far arrivare fiumi di stupefacenti tra Campania e Lazio. Promotori del gruppo sono stati individuati Ciro Capasso, già in passato coinvolto in inchieste sul narcotraffico e attualmente beneficiario del reddito di cittadinanza, e il figlio Antonio Capasso, titolare del ristorante di Posillipo. La trattoria è stata sequestrata ma, per salvaguardare i posti di lavoro, è stato nominato un amministratore giudiziario.

Droga tra Campania e Lazio, 24 arresti

L'operazione è scattata all'alba di oggi, ha visto in campo 150 finanzieri del Comando Provinciale di Napoli col supporto dei Comandi di Roma, Salerno, Caserta e Latina, che hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare del gip di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Fra i componenti principali del gruppo è stato identificato Ciro Capasso, già invischiato in precedenti inchieste sul traffico di droga che lo collocavano vicino al clan degli Scissionisti di Secondigliano e ai Contini, col ruolo di fornitore di grossi carichi di stupefacenti.

I summit per la droga nella trattoria Tufò di Posillipo

Le indagini hanno ricostruito i movimenti di Ciro Capasso negli ultimi anni. Secondo gli investigatori, dopo essere tornato in libertà era tornato nel traffico di droga e aveva investito parte dei suoi guadagni in attività di ristorazione. Tra queste verosimilmente ci sarebbe anche la trattoria gourmet Tufò di Posillipo, dove si erano tenute anche delle riunioni tra il broker, il figlio Antonio e altri membri dell'associazione per accordarsi sull'acquisto di ingenti quantitativi di cocaina. A uno degli incontri, monitorato dal Gico della Guardia di Finanza, aveva preso parte Rosario Lumia, che qualche giorno dopo, il 16 maggio 2018, fu arrestato: in macchina aveva 33 chili di cocaina e nella sua casa di Posillipo furono ritrovati 217mila euro in contanti, 14mila dollari statunitensi e 3 orologi di lusso (2 Rolex e un Hublot) per un valore complessivo di 20mila euro. Secondo i finanzieri i soldi trovati in casa di Lumia indicano che probabilmente l'uomo non era semplicemente un corriere, ma che era stato incaricato di custodire i contanti provenienti dallo spaccio di droga in vista dell'acquisto di altre partite di stupefacenti.

Altra droga era stata trovata nel luglio successivo in un appartamento di Casalnuovo (Napoli): la sezione Goa del Gico aveva sequestrato 10,75 kg di cocaina e tratto in arresto Carmine Pandolfi, Antonio Grimaldi, Antonio Russo e Ciro Capasso, che erano impegnati a decidere la spartizione del carico. La droga sequestrata, per un valore al dettaglio che si aggira sui 10 milioni di euro, sarebbe stata venduta nelle piazze di spaccio di Napoli ma anche nelle province di Salerno e Caserta.

Il broker in debito col clan dopo il sequestro della droga

Tra le circostanze appurate dalle Fiamme Gialle, quella di un grosso debito che il broker si era ritrovato a dover affrontare dopo un sequestro di stupefacenti avvenuto nel 2007. La droga era stata acquistata grazie alle "puntate" dei clan, che avevano messo ognuno una quota per comprare la partita. Le forze dell'ordine, però, aveva sequestrato tutto e ora la camorra voleva indietro il suo denaro. A salvare Ciro Capasso, ritengono gli inquirenti, era stata una commerciante che secondo le indagini farebbe parte del gruppo di imprenditori che venivano usati per riciclare denaro sporco da Salvatore Botta, boss del clan Contini. La donna, legata a Capasso, si era accollata gran parte del debito di circa un milione di euro, ottenendo una dilazione sui pagamenti: lo avrebbe saldato in rate mensili da 30mila euro.

Spacciatori col reddito di cittadinanza

Nell'operazione sono state sequestrate 7 società, tra  cui quelle che gestivano la trattoria e le altre attività collegate al marchio Tufò, 3 immobili, 13 veicoli e 68 rapporti finanziari, per un valore complessivo che supera il milione di euro. Tra i nuclei familiari colpiti dai provvedimenti cautelari, 6 sono risultati beneficiari del reddito di cittadinanza: tra i destinatari c'era anche Ciro Capasso.

La banda usava telefoni criptati per comunicare

Alcuni dei narcotrafficanti della banda, per tenersi al riparo dalle intercettazioni, usavano dei telefoni criptati. Si tratta di dispositivi particolari, dal costo variabile tra alcune centinaia di euro ad oltre 1.500 euro, che sono in grado di cifrare le comunicazioni, sia quelle vocali sia quelle testuali come gli sms, e che tra le funzioni possono contemplare anche la funzione di cancellazione da remoto, già disponibile su molti dispositivi che funzionano con sistema operativo Android.

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Giornalista professionista dal 2011, redattore di cronaca nera per Fanpage.it dal 2019. Precedentemente ho lavorato per i quotidiani Cronache di Napoli, Corriere del Mezzogiorno e Il Mattino.
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