Qualcuno in Forza Italia – qualcuno tra coloro che ora vanno proclamando «io l'avevo detto…» – e attualmente gironzola intorno Palazzo Santa Lucia, tra un bar e una telefonata, si fa, come si dice a Napoli, le «croci con la mano smerza» (storta). Stefano Caldoro di qui, Stefano Caldoro di lì; ex assessori e consiglieri regionali che definiscono Vincenzo De Luca incandidabile in conferenze stampa. «Giusto, giustissimo. E voi ora ne parlate?». Peccato, infatti, che oggi sia sabato 13 giugno e che le Elezioni Regionali della Campania abbiano dato il loro responso due settimane fa. Vincenzo De Luca ha vinto, Stefano Caldoro ha perso. E perché, dunque, Caldoro inizia oggi la sua campagna elettorale, a tempo bello che scaduto?
Stamane, infatti, l'ex governatore ha tenuto una conferenza stampa per parlare del bilancio regionale e dell'eredità lasciata al suo successore. La storia è quella di sempre: chi va via dice di aver rimesso i conti a posto, chi arriverà dirà di aver trovato un disastro finanziario. L'ex governatore di Forza Italia parla di «disavanzo diminuito, in cinque anni, da 4.850 miliardi a 1.6 miliardi di euro». Chi arriva al governo, parla invece di sanità ridotta in ginocchio e sistema dei trasporti dissolto. «Non ci sono performance analoghe di correzione dei conti guardando a tutte le Regioni italiane» continua Caldoro nella sala della giunta regionale, a Palazzo Santa Lucia, mentre intanto, nei corridoi, è tutto un brulicare di carte e cartuscelle, di pacchi da imballare e hard disk di computer da formattare con rapidità.
La strategia fallimentare di Caldoro: mai una autocritica
La legittima esposizione dei conti regionali da parte del governatore lascia poi il campo al cruccio, al dramma irrisolto, al sintomo di una rimozione psicologica della tragedia: Caldoro annuncia che domani consegnerà ai giornalisti i sondaggi Ghisleri e Swg del 6 e del 15 maggio. «Sono sondaggi che prendono in considerazione i bacini elettorali – spiega -. I dati pugliesi sono confermati, quelli campani no. Nella nostra Regione si è verificato un effetto di riequilibrio molto forte, con un fortissimo recupero e poco prevedibile». Il 15 maggio. Cioè un mese fa. Quando i sondaggi erano ipotesi costruite su margini d'errore ampi come chi fa politica in Campania ben sa e non certezze indissolubili come chi, nel cerchio magico di Caldoro, faceva credere al capo, inondandolo di slide, di numeri, di tatticismi che alla fine dei conti, sono stati spazzati via con un «personaggetto», un «affannato mentale» e due sguardi in cagnesco a Rosy (Rosaria) Bindi.
«Perché solo ora?» È quello che, scesi i tre piani del potere regionale, mormorano le terze file del centrodestra, i non ascoltati, i mai introdotti tra i dotti medici e sapienti che tra un Gigi D'Alessio e una Sviluppo Italia convincevano e si autoconvincevano che l'Armada Invencible, salpata con mille navi cariche di accelerazione della spesa, garanzie giovani, concorsi e nomine non sarebbe stata affondata al largo dai cannoni di Navarone, provincia di Nusco, e da una imitazione di Maurizio Crozza. Mai una autocritica da Caldoro, in nessun confronto regionale, in nessun intervento scritto, in nessuna comparsata televisiva.
«Se il Pd avesse scelto un candidato diverso, più pulito, più renziano, avrebbe vinto di molti più punti. Invece in Campania registro un'ottima performance del centrodestra» dice ancora Caldoro, sapendo di mentire ai dati e alla politica che pure dovrebbe conoscere, figlio degli Hotel Raphael e del socialismo ferroviario. Il governatore invisibile non può non sapere che Matteo Renzi e Vincenzo De Luca il patto elettorale l'hanno stretto, eccome. E che la Campania è arrivata come manna dal cielo a Palazzo Chigi per compensare i dolori della Liguria perdente a causa dei "gufi", come li definisce lo storytelling zoologico renziano. Sul dato di Forza Italia parlano i numeri interpretabili ma non manipolabili, in questo caso (non come nei bilanci).
E ora, cosa resta al Caldoro triste, solitario y final? La rabbia di chi, in Ncd, ha perso un seggio – leggasi Severino Nappi – e di chi fra i supercandidati forzisti è rimasto a piedi. Nessuna finestra elettorale si aprirà di qui a un anno (ammesso che non voglia candidarsi a sindaco di Napoli, scontrandosi con Gianni Lettieri che per cinque anni ha pensato solo a prendersi la rivincita da Luigi de Magistris). La speranza di mettere la ‘zeppa' una tantum in Consiglio regionale alleandosi col Movimento Cinque Stelle? Caldoro butta l'amo e ipotizza la riforma dello statuto regionale "per garantire maggiore voce alle opposizioni". Ma dal M5S non arrivano feedback positivi. E per di più Stefano Caldoro dovrà arginare anche Armando Cesaro, figlio di cotanto Giggino ‘a purpetta, che scalpita per il posto da vicepresidente del Consiglio regionale.