Un anno fa la scomparsa dei tre napoletani in Messico: la ricostruzione della storia
NAPOLI – Dodici mesi esatti. Trecentosessantacinque giorni. Tanto è passato dall'ultimo messaggio inviato dai tre napoletani scomparsi in Messico alla famiglia in Italia. Poi, il silenzio. Era il 31 gennaio 2018 quando di Raffaele Russo, 60 anni, Antonio Russo, 25 anni e Vincenzo Cimmino, 29 anni, rispettivamente padre, figlio e nipote, si perdono le tracce.
La notizia, inizialmente, non finisce sotto i riflettori: solo due settimane dopo, la vicenda si infiamma e diventa di pubblico dominio. I tre sono scomparsi nel nulla a Tecalitlàn, nello Stato di Jalisco, a cinquanta minuti da Ciudad Guzmàn, ed inizialmente si pensa ad un rapimento. Dopo qualche giorno, a metà febbraio, la procura apre un'inchiesta mentre perfino gli ultras del Napoli cercano di mantenere alta l'attenzione mediatica, chiedendo la loro "liberazione" con uno striscione esposto in Curva A durante la partita al San Paolo contro la Spal del 19 febbraio. Si pensa ad un possibile arresto, si teme per la loro incolumità, ma dal Messico tutto tace. La svolta arriva però il 20 febbraio, quando i familiari decidono di rendere pubblico un messaggio audio inviato da uno degli scomparsi via Whatsapp proprio nel giorno della scomparsa. E il contenuto è tremendo.
"Stavamo facendo benzina, quando è arrivata la polizia con un'auto e due moto", spiega Antonio, uno dei tre scomparsi, parlando in napoletano con il fratello Daniele, "ci hanno detto di seguirli. Adesso li stiamo seguendo, le moto davanti e l'automobile dietro". Una versione che confermerebbe, dunque, l'ipotesi del fermo da parte della polizia messicana, che avevano sostenuto fin dall'inizio i familiari e che in un primo momento era stata confermata anche dalle autorità messicane, per poi essere smentita. Da quel momento iniziano giorni in cui si susseguono notizie di vario tipo: prima i trentatré poliziotti messicani indagati, poi cala un nuovo velo di mistero perché i poliziotti sarebbero "scomparsi" a loro volta.
E' il 25 febbraio quando arriva dai media messicani una notizia che, se confermata, è tremenda: i tre sarebbero stati venduti dai poliziotti stessi ai narcos locali per una cifra vicina ai 43 euro. Ma sono giornate concitate: il ministro Alfano promette il "massimo impegno", i familiari chiedono l'intervento del Papa, dell'Interpol, iniziano a temere per la sorte dei loro cari. Intanto si fa aprile, e la famiglia arriva a rivolgersi perfino al Parlamento Europeo. Ma dal Messico, dopo il primo flusso di notizie, non arriva più niente salvo qualche notizia che di tanto in tanto riaccende le speranze, con presunti narcos coinvolti che sarebbero stati di volta individuati.
Il 30 luglio 2018, a sei mesi dalla scomparsa, c'è un arresto, forse addirittura il mandante del sequestro. Ma da quel momento le indagini si arenano. Nessuna notizia: il Messico diventa improvvisamente muto. Il 18 ottobre 2018 esplode la rabbia dei parenti, che occupano i binari della stazione di Napoli Centrale, chiedendo un incontro con le autorità. A questa protesta, ne seguiranno altre, ma senza esito. Le autorità promettono telefonate ed interventi, ma dal Messico non arriva più nulla. A gennaio di quest'anno, i familiari si incatenano davanti alla Farnesina, chiedendo di parlare con il ministero degli Esteri. Ottengono ancora una volta "parole e promesse", e nulla più. Oggi, ad un anno esatto dalla scomparsa, la richiesta d'intervento alle Nazioni Unite. Ma dopo 365 giorni, di Raffaele Russo, 60 anni, Antonio Russo, 25 anni e Vincenzo Cimmino, 29 anni, ancora nessuna notizia.