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Opinioni

“Caso Tiziana Cantone, web e social non sono diretti responsabili dell’odio che circola”

Giovanni Ziccardi, docente di Informatica giuridica e studioso delle dinamiche d’odio in Rete parla della triste vicenda che ha visto protagonista una trentenne che si è tolta la vita dopo la diffusione dei suoi video privati.
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Giovanni Ziccardi, docente di Informatica Giuridica all'Università di Milano, da anni si occupa  delle dinamiche d'odio che passano attraverso la Rete, dal cyberbullismo all'hate speech allo stalking via web. Nel suo ultimo libro "L'odio online – violenza verbale e ossessioni in rete" (Raffaello Cortina Editore, 2016) spiega come la diffusione di internet abbia reso possibile un dialogo ininterrotto tra chat, smarphone, blog, forum, social network. E come all'interno di questo dialogo le espressioni d'odio siano diventate un tema di primaria importanza. A lui abbiamo chiesto un commento sulla triste vicenda della giovane suicida a Napoli.

La storia di Tiziana Cantone rischia di diventare tra quelli che costituscono un "precedente" in Italia. Lei si occupa tra le altre cose di espressioni d'odio in rete, cyberstalking e cyberbullismo. A quale tipologia di crimine è assimilabile questa vicenda?
La vicenda mi sembra molto complessa. Di sicuro c’è una violazione nella diffusione dei dati (in particolare video a sfondo sessuale) che non era prevista in origine. A ciò si sono aggiunti commenti violenti e una diffusione su larga scala di tali dati che ha portato la ragazza a cercare di far rimuovere i contenuti e di rifarsi una identità (e una vita) ma purtroppo senza riuscirci. Si tratta di un caso complesso perchè coinvolge aspetti quali la “persistenza” del dato (ossia la impossibilità pratica di rimuovere veramente un dato da Internet e dai social se inizia a circolare), l’amplificazione dei fatti dannosi per una persona (con la diffusione immediata su larga scala delle informazioni) e atteggiamenti di odio da parte di gruppi di individui, maschi e femmine, che lo rendono per certi versi “social” (ossia una coalizzazione nell’odiare una persona).

Nel caso Cantone colpisce ciò che è avvenuto prima del tragico epilogo, ovvero il suicidio. La donna ha cercato di far cancellare i video dalla Rete rivolgendosi al tribunale ma si è imbattuta non solo in una massa di contenuti abnorme e quindi impossibile da controllare, ma anche nella lentezza della giustizia italiana: c'è voluto un anno per un primo pronunciamento del giudice (quello che ha disposto la rimozione dei contenuti da Google e Facebook , per intenderci). Secondo lei le leggi italiane in tal senso sono adeguate? C'è la necessità di un adeguamento?
Secondo me il tema della rimozione dei contenuti è molto delicato. Io sono ad esempio convinto che ciò non sia possibile in via definitiva. Si può cercare di limitare il danno, di bloccare i collegamenti o la indicizzazione da parte dei siti più importanti (ed è già una cosa buona), ma il contenuto digitale è sempre lì pronto a ritornare a galla, anche a distanza di tempo. Il conciliare la necessità di rimuovere in fretta dei contenuti con la libertà di informazione che è tipica del web è molto difficile. Occorre un’analisi preventiva del rischio molto accurata, e comprendere che il dato digitale, una volta diffuso, non può più essere inseguito e rimosso definitivamente.

Citando il suo libro recente sulla violenza verbale e le ossessioni in rete si può dire che nel caso Cantone i commenti – sui social network, nelle piattaforme dei media e dei blog che se ne sono occupati – hanno agito come "facilitatori dell'odio” ?
Più che facilitatori dell’odio – a mio avviso il web e i social non sono responsabili direttamente dell’odio che circola – hanno reso clamoroso, evidente e conoscibile a più persone ciò che stava succedendo. E come spesso succede per il web, hanno amplificato sia le manifestazioni di odio sia quelle di cordoglio per l’accaduto (purtroppo, queste ultime, meno evidenti delle altre).

Colpisce di questa storia, anche la trasformazione in meme virale del volto della giovane protagonista e di alcune frasi da lei pronunciate nei filmati. In questi casi chi diffonde contenuti del genere – che non sono in alcun modo hard, anche se richiamano esplicitamente a quei video – è perseguibile legalmente?
Non è possibile dare una risposta univoca, occorrerebbe valutare caso per caso, vedere chi è l’autore, che fini ha il video o il fotomontaggio, e così via. Probabilmente gli aspetti della diffamazione e del trattamento illecito di dati personali sono i più interessanti da valutare in un caso simile.

Chi custodisce ancora i video hard rischia dal punto di vista penale?
La detenzione di video (e materiale in genere) riguardante minori degli anni 18 è punito dall’articolo 600-quater del nostro codice penale con reclusione fino a tre anni e multa. Pene ulteriori ci sono poi se il video venisse fatto circolare (ad esmepio con sistemi di file sharing), generando anche l’ipotesi di “diffusione”. In linea generale, caso specifico a parte, è sempre inopportuno scaricare o far circolare (anche per pura curiosità) video o immagini che sono oggetto di vicende giudiziarie o di clamorosi casi di cronaca.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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