
"Pensavo di dover salvare delle vite, non di dover combattere la camorra. Ma, ora che ci danno tutti addosso, l'Asl deve difendere la nostra dignità". È il succo di una lettera scritta da una infermiera del San Giovanni Bosco, che si rivolge al commissario Ciro Verdoliva. Ma c'è un problema: quel modo di pensare che traspare dalla lettera, dietro il quale c'è la paura di ritorsioni, è proprio quello che ha fatto sì che la camorra prendesse possesso di un ospedale. La lettera è stata rilanciata su Facebook da Nessuno Tocchi Ippocrate, l'associazione nata per denunciare le violenze contro il personale ospedaliero e che segnala ogni anno decine di episodi di aggressioni tra i reparti (se ne contano fino ad oggi 51 solo dall'inizio del 2019). Vuole essere una risposta al fango che si è abbattuto sui dipendenti del San Giovanni Bosco che, ha evidenziato una inchiesta della Procura di Napoli, negli anni era diventato una sorta di base sociale della camorra.
Il clan Contini riusciva a gestire tutti gli aspetti: dagli appalti, alle assunzioni nelle ditte esterne, fino all'erogazione di prestazioni sanitarie bypassando tutte le regole. E quella lettera è una risposta sacrosanta: se il San Giovanni Bosco era un ospedale controllato dalla camorra, questo non vuol dire che fossero camorristi tutti quelli che ci lavoravano. Anzi, i dipendenti erano a loro volta vittime di questo sistema.
"È un dolore per me, oggi, sentirmi accomunata ad un mondo che non mi appartiene, sentire dire da da un ministro della Repubblica che il San Giovanni Bosco deve essere sciolto. E con esso quindi anche tutti i lavoratori onesti che in quell'ospedale hanno dato e danno a tutt'oggi l'anima, svolgendo il proprio lavoro tra mille difficoltà? Mi sento davvero umiliata a sentirmi chiamare collusa di un sistema a cui non appartengo"
Sfogo legittimo, in cui si sente la profonda e sincera mortificazione di chi si ritrova additato come appartenente alla criminalità quando sa di non avere nulla a che fare con quel mondo. Quello che stona, però, è nella parte finale della lettera.
"Io pensavo di dover indossare la mia divisa al mattino, quando cominciavo il turno e di dover dare sollievo alle sofferenze altrui, invece probabilmente mi sbagliavo – scrive ancora la donna – dovevo indossare un'armatura e combattere come un supereroe, anziché svolgere il mio lavoro quotidiano avrei dovuto indagare ed intrigarmi degli affari loschi che altri facevano, e poi fare rapporto a chissà chi".
Ed è vero, ma in parte. Perché, se l'infermiera ha fatto il suo dovere di professionista sanitario, non ha invece fatto quello di cittadino. E qui ci ricolleghiamo alle riflessioni del procuratore Giovanni Melillo: sono state scoperte centinaia di estorsioni, ma non è arrivata una sola denuncia. Perché nessuno ha ritenuto di rivolgersi alle forze dell'ordine, nessuno ha ritenuto di segnalare, nemmeno anonimamente, quello che stava accadendo.
Non si tratta di mettersi a fare l'agente segreto, di indagare. Perché se in un ospedale i parcheggiatori abusivi accompagnano gli utenti negli ambulatori facendo saltare le file, se il clan impone operazioni chirurgiche non registrate per estrarre pallottole dagli affiliati, se gli stessi sindacati sono costretti a contrattare con la camorra prima di proclamare uno sciopero, se i morti vengono caricati in ambulanze con certificati falsi, non si tratta di scoprire le trame nascoste. Si tratta di vedere quello che succede davanti a tutti.
"Non è così che funziona, io sono stata assunta per salvare vite umane, non come agente segreto – conclude la donna, rivolgendosi a Verdoliva – e se lei oggi tiene alla mia dignità ed a quella di tutti i professionisti seri del San Giovanni Bosco ha il dovere di difenderci dalle accuse e dalle calunnie che ci vengono mosse dall'opinione pubblica e da chicchessia. Non ci lasci soli".
Non è difficile capire perché la donna, così come molti di quelli che si trovano davanti ad un reato, non abbia denunciato. Non è connivenza, è la paura di rimanere soli, di perdere il lavoro, di subire ritorsioni. Ed è questa paura che è alla base dell'omertà. Quella che ha portato la camorra a gestire anche i servizi interni di un ospedale, a spadroneggiare in corsa. E, in fin dei conti, anche a mettere le mani addosso a chi in quei reparti vorrebbe solo fare con onestà e dignità il proprio lavoro.
