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Bimbo ucciso di botte a Cardito (Napoli)

Cardito: nessuna ‘legge del carcere’: gli altri detenuti non hanno tentato di uccidere Tony Essobdi

L’assassino del piccolo Giuseppe di Cardito è stato trasferito dal carcere di Poggioreale nell’ambito di una prassi consolidata quando ci sono delitti del genere. Ma attribuire una decisione simile alle pressioni degli altri detenuti che avrebbero voluto vendicarsi dell’uomo che aveva picchiato un bambino non ha senso. La criminalità ha all’attivo decine di fatti di sangue che riguardano ragazzini.
A cura di Nico Falco
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Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia che Tony Essobti, in carcere per avere ucciso il figlio della compagna, non si trova più nella casa circondariale di Poggioreale ed è stato trasferito nell'istituto di Castrovillari, in provincia di Cosenza. La motivazione sarebbe stata la tutela della sua incolumità: nel carcere napoletano Essobti non sarebbe più stato al sicuro, gliel'avrebbero fatta pagare per il tremendo crimine che ha commesso. La “legge dei carcerati”, “l'etica dei detenuti”, insomma. Quella che viene tirata in ballo ogni volta che dietro le sbarre ci finisce qualcuno per un crimine particolarmente violento o ripugnante. E, anche questa volta, non ci è voluto molto perché si diffondesse la voce: gli altri carcerati non avrebbero perdonato al giovane di origine marocchina l'aver ucciso un bambino

In realtà, le cose non stanno così. Essobti ha sì lasciato Poggioreale per Castrovillari, ma il suo trasferimento è datato 4 febbraio scorso. E, prima di quella decisione, l'uomo si trovava già in regime di sicurezza, come da prassi in situazioni del genere, e non si era registrato nessun episodio violento né di minacce nei suoi confronti. In sostanza, è stato trasferito per decisioni interne e di riorganizzazione, è possibile che sia stato fatto a sua tutela vista l'enorme mediaticità della storia, non certo perché qualcuno voleva “fargliela pagare”. Non c'erano conferme in quella direzione, ma la tesi della “legge del carcere” trova sempre terreno fertile quando ci sono casi di rilievo nazionale. Un'idea legata a una visione romantica della malavita organizzata, che per uno schizzo di pudore non diventa mitizzazione. Malgrado la cronaca sia piena di episodi in cui questa “etica dell'uomo d'onore” è stata dimenticata: i 108 bambini vittime della mafia dagli inizi dell'800, compreso il piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso e sciolto nell'acido.

Tornando alla camorra, anche qui l'elenco resta lungo: Nunzio Pandolfi, 18 mesi, ucciso mentre era in braccio al padre, obiettivo dell'agguato; Simonetta Lamberti, 10 anni, uccisa nell'agguato in cui volevano ammazzare il padre, Alfonso, procuratore capo della Repubblica; Gioacchino Costanzo, 1 anni, morto nell'agguato per uccidere il convivente della nonna; Ciro Zirpoli, 16 anni, ammazzato per lanciare un messaggio al padre Leonardo, narcotrafficante. Poi ci sono quelli uccisi da pallottole vaganti, quelli morti perché no, non è nemmeno vero che “tanto si sparano tra loro”: Luigi Cangiano, 10 anni; Fabio De Pandi, 11 anni; Valentina Terracciano, 2 anni; Annalisa Durante, 14 anni.

E c'è anche di peggio.

Gelsomina Verde, torturata fino alla morte, venne bruciata per nascondere i segni di quelle sevizie. Aveva 22 anni, la sua unica colpa era di aver frequentato un ragazzo che successivamente era entrato a far parte degli Scissionisti di Secondigliano e che i killer dei Di Lauro stavano cercando.

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Giornalista professionista dal 2011, redattore di cronaca nera per Fanpage.it dal 2019. Precedentemente ho lavorato per i quotidiani Cronache di Napoli, Corriere del Mezzogiorno e Il Mattino.
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