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Perché mi vergogno di Napoli dall’inizio dell’anno

Riccardo Pazzaglia nel film “32 dicembre” descrisse bene l’inciviltà di una certa Napoli a Capodanno, quando spara botti (e non solo) pericolosi per la propria salute e per quella altrui. Continuo a non capire come mai nelle zone più povere della città si spendono cifre da nababbi per i fuochi: da dove arrivano questi soldi? L’inizio dell’anno nuovo dovrebbe essere un modo per ricominciare lasciandoci alle spalle le brutte esperienze del periodo precedente. E invece qui ogni Capodanno si contano i feriti dall’idiozia altrui.
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«E sapete qual è il giorno in cui mi vergogno di essere napoletano? proprio al principio, il 2 gennaio, perché il 2 gennaio esce il Corriere della Sera e puntualmente mette un titolo su 5 colonne in cui sta scritto ‘a Napoli per i fuochi artificiali la notte di Capodanno 3 morti e 300 feriti‘». Così un geniale Riccardo Pazzaglia nel "32 Dicembre" di Luciano De Crescenzo apostrofava un Enzo Cannavale disperato perché non era riuscito a trovare soldi e comprare i botti da usare nella notte di San Silvestro. Un monologo da film, dunque caricato ed estremo. Le sale d'attesa dei Pronto Soccorso di Napoli e provincia sono piene (ma non strapiene, fortunatamente) di feriti dai botti.

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La vergogna non è nella follia della festa, semel in anno licet insanire. Non è della mezzanotte di botti e fuochi colorati che ci si è scandalizzati, anche se continuo a non capire come mai nelle zone più povere della città si spendono cifre da nababbi per i botti: da dove arrivano questi soldi? Nei vicoli hanno iniziato poco dopo le 17. Rimbombavano bombe che nemmeno nelle guerre civili. Bastava risalire la zona di piazza Bellini e poi alle Secondigliano, ma anche il Vasto, Porta Capuana, via Rosaroll, via Carbonara, via Foria. Quest'anno nemmeno il Vomero e Chiaia il "signorile salotto della città" hanno sfigurato. I rivenditori – abusivi e legali – di fuochi artificiali erano strapieni di gente pronta a comprare di tutto, dalle cipolle ai kobra, dalle bombe carta ai più innocenti bengala, stelle filanti e tric-track.

Non si dovrebbero giudicare le persone senza conoscerne la vita. Ma da dove uscivano tutti quei soldi nei quartieri più poveri della città? E come sono spuntate quelle bancarelle abusive sul ciglio dei marciapiedi?

La vergogna è stata vedere le foto cassonetti bruciati, cumuli di pattume gettato dai palazzi secondo l'assurda convinzione che gettare la roba vecchia dal balcone possa aiutare l'anno nuovo a proporre cose buone. E invece aumenta solo la percentuale degli imbecilli presenti in città. «E io la mattina quando leggo il giornale mi vergogno certe volte di essere napoletano, perché noi abbiamo duemila anni di storia, abbiamo nomi come Benedetto Croce per dirne uno; Giordano Bruno, Jacopo Sannazaro», come concludeva  il suo monologo Pazzaglia.

P.S. Quest'articolo l'ho scritto due anni fa. Oggi 1 gennaio 2020 non è cambiato praticamente niente.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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