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Dal carcere si può uscire anche per fine pena e per malattia. Fatevene una ragione

Dal carcere si esce sempre, a meno che il fine pena non sia fissato nell’anno 9999. Tra le altre cose si può uscire per aver scontato la pena, ma anche per malattia incompatibile col regime carcerario. Tempo un paio di anni torneranno in libertà, per fine pena, tutti i gregari di camorra arrestati all’indomani delle stragi del 2008. Sembra ieri, quando si credeva di aver sconfitto la mafia casalese con il carcere. È evidente che non era così.
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Dal carcere si esce. In periodo di Covid, a causa del Covid, per malattie gravissime che rendono ostativa la detenzione rispetto al primario diritto alla salute, per fine pena. Dal carcere si esce sempre, a meno che il fine pena non sia fissato nell’anno 9999, anche se la dottrina ha più volte messo in discussione quel “mai” che cozza con il fine rieducativo della pena stessa. Si sta uscendo di più in queste settimane: a causa dei sorprendenti pasticci del Dap, delle pessime condizioni degli istituti penitenziari, delle carenti strutture sanitarie carcerarie. Ma anche perché a un certo punto la condanna si esaurisce. E se oggi se ne parla di più è perché l’approssimativa, insufficiente e tardiva gestione dell’emergenza è diventata un caso politico e istituzionale, con la richiesta di dimissioni del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Intanto, continuando a guardare il particolare, giù con gli elenchi degli scarcerati o degli aspiranti tali: mafiosi, camorristi, ‘ndranghetisti, ergastolani o prossimi alla liberazione, ammalati e vecchi o solo furbetti che ci provano da sempre a ogni possibile occasione, definitivi o in attesa di giudizio.  Non ci sono i nomi dei poveracci,  che si stanno vedendo negare la dovuta scarcerazione anticipata perché mancano i braccialetti elettronici, previsti dalla legge sin dal 2015 ma mai comprati in numero adeguato.

Come dicevamo a proposito del differimento pena di cinque mesi per Pasquale Zagaria, negli elenchi però ci sono solo nomi e numeri, privi delle singole storie che hanno indotto i giudici di sorveglianza a concedere (ma molto spesso anche a negare) i domiciliari. Oggi, nella caccia agli scarcerati, si segnalano altri due casi, entrambi di persone vicine al clan dei Casalesi: Sergio Orsi e Giacomo Capoluongo. Non conosciamo la cartella sanitaria del secondo. Nota, e da anni, quella del primo: plurinfartuato, quadro ischemico compromesso, altre patologie correlate. Una situazione clinica che già in passato aveva indotto i giudici del dibattimento a concedergli gli arresti domiciliari. L’uomo dello scandalo Ecoquattro e della gestione mafiosa della raccolta dei rifiuti in provincia di Caserta, il paravento della fazione Bidognetti nell’affare, è stato scarcerato con domiciliari a tempo, per sei mesi, la scorsa settimana dal tribunale di sorveglianza di Napoli (presidente Elvira Castelluzzo). Era stato arrestato a gennaio per un cumulo di pena di poco meno di due anni, reduce dall’ennesimo ricovero in unità coronarica. L’istanza di sostituzione della misura era stata presentata dal suo difensore, l’avvocato Carlo De Stavola, subito dopo l’esecuzione del provvedimento. Rigettata, era stata riproposta dopo il trasferimento di Orsi nel carcere di Catanzaro. Il perito di parte e il responsabile sanitario di quel penitenziario hanno certificato l’aggravamento delle condizioni di salute e l’impossibilità di curarlo tempestivamente (a causa del Covid ma non solo) in caso di probabile nuova crisi. Sergio Orsi, pur condannato per fatti di camorra, non è inserito nel circuito speciale: né 41 bis, né alta sicurezza.

E allora, perché ce ne occupiamo? In effetti non dovremmo. Ma Sergio Orsi, 63 anni, non è un detenuto qualunque. Arrestato per la prima volta nel 2006 assieme al fratello, aveva iniziato una timida collaborazione con la magistratura. Il primo giugno del 2008, in pieno periodo stragista, il fratello Michele è stato ucciso dalle truppe di Setola. A distanza di dodici anni non si conoscono né mandante né movente. Subito dopo l’agguato finì sotto protezione, iniziò anche a parlare e a raccontare alcuni retroscena dei rapporti tra camorra e politica, tra Casalesi e l’allora sottosegretario di Forza Italia Nicola Cosentino, poi arrestato e condannato in primo grado per concorso esterno proprio per la vicenda Ecoquattro. Un’improvvida fuga di notizie sull’indagine a carico di Cosentino gli fornì il pretesto per interrompere la collaborazione. Dopo, è stato arrestato varie volte, condannato in due processi (anche per associazione camorristica), indagato in altre due (ancora in corso). Nelle more, è stato testimone dell’accusa nei processi a carico del pm Donato Ceglie (che il Csm ha sospeso da funzioni e stipendio), a Roma, e dell’ex sindaco di Orta di Atella ed ex consigliere regionale del Pd Angelo Brancaccio. Uomo di mezzo, conoscitore di cose e fatti mai compiutamente disvelati. Pericoloso? Furbo e scaltro certamente. Come certamente è ammalato.

Furbi e scaltri sono anche i fratelli di Michele Zagaria, capo del cartello casalese, detenuto all’ergastolo da otto anni e mezzo dopo una latitanza durata sedici anni e qualche spicciolo di giorni. Di Pasquale, ora ai domiciliari, si è detto moltissimo: stratega della trattativa per i lavori dell’Alta Velocità e della gestione della seconda emergenza rifiuti, è stato però assolto per l’una e l’altra cosa; fatti accertati ma non configurabili come reato. Il cumulo di pena di vent’anni (sedici già scontati) è figlio di quattro condanne per reati per così dire “di strada”: estorsioni, pestaggi, armi, naturalmente associazione camorristica. Il fratello Antonio, suo socio nell’affare Tav, è stato scarcerato poco più di un mese fa per fine pena. Carmine è libero da più di due anni. Ai domiciliari, e a fine pena, le sorelle Beatrice ed Elvira. Libere Gesualda, la moglie Francesca Linetti, le cognate. Libero il cognato Raffaele Capaldo, l’uomo dell’affare Parmalat. In carcere, invece, e da poco, i nipoti Filippo e Nicola, finiti nell’inchiesta sul mercato del latte e dei supermercati assieme ad Alfredo Greco, scarcerato a marzo. Greco che, con il suo gruppo, ha sponsorizzato l’acquisto delle mascherine distribuite un paio di settimane fa dal Rotary club di Piedimonte Matese. Un’operazione giocata tutta sul consenso che, in tempi di emergenza – tempi che la famiglia Zagaria è stata sempre attenta a sfruttare a uso e consumo delle casse di camorra – non fa mai male. Ma tutto questo con le scarcerazioni c’entra assai poco perché il sistema funziona così come sempre grazie a chi è libero, soprattutto grazie a chi è stato sempre libero.

Un ultimo aspetto. Tempo un paio di anni torneranno in libertà, per fine pena, tutti i gregari di camorra arrestati all’indomani delle stragi del 2008. Furono presi e processati nel giro di pochi mesi durante una straordinaria stagione investigativa, non rispondono di omicidi. Sembra ieri, era dodici anni fa, quando si credeva di aver sconfitto la mafia casalese con il carcere. È evidente che non era così.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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