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Opinioni
Rione Vasto di Napoli, emergenza criminalità

E niente, noi abitiamo a Napoli, nel quartiere della faida di camorra

Non solo Rione Vasto. Baby boss, coprifuoco, piazze di spaccio (più miti e leggende) e paranoie: racconto minimo di cosa succede quando un quartiere, una strada, un rione qualsiasi della città di Napoli si trasforma in quella che i giornali immediatamente si apprestano a definire “zona di faida”.
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«Ho sentito della sparatoria vicino casa tua. Siete tranquilli?».
L'amica di vecchia data è napoletana, si è trasferita qualche anno fa al Nord. Fatico a capire la domanda, sulle prime. Ma è un millisecondo. Riconduco tutto alla realtà che mi circonda.
«Tutto bene, sai com'è quando succede così».

Questo il 1 agosto. Il 2 mi sono sposato.
Ho poi saputo che l'auto per girare è passata, sposa a bordo, nel Borgo di Sant'Antonio Abate. Immaginati un Maggiolino Volkswagen cabrio degli anni Cinquanta mmiez ‘o buvero in questi giorni.
Sono diventato un po' paranoico. Colpa del lavoro.

«È stato meraviglioso! Non hai idea di come guardavano tutti, gli auguri, gli applausi
«E per forza! Avranno pensato minimo che eri la moglie di un boss per passare così lì in mezzo».

La normalità del male

«Per un tragico destino non scelto da lui è mancato all'affetto dei suoi cari» c'è scritto sul manifesto funebre attaccato velocemente sotto casa. Luigi Galletta, 22 anni, era un giovane meccanico qui nella strada affianco. Dice che forse l'hanno ucciso perché non voleva «preparare i mezzi al sistema».
«Preparare i mezzi» significa che io porto uno scooter o una moto dal meccanico e ne esce che fila via come una scheggia. Quegli scooter ovviamente non servono a fare gare di motocross o esibizioni.

Vorrei fosse chiaro. Io sono originario del rione Sanità. Diciamo che ho vissuto più via Foria, più piazza Miracoli, più piazza Pacella. Ma alla fine, quello è. Oggi abito nella zona di via Cesare Rosaroll. Se non conosci Napoli, mi rendo conto, è difficile da inquadrare. Allora: via Foria sono le spalle che mantengono la testa di Napoli. Via Foria è potentissima, è una strada che collega tutto a tutto. Via Cesare Rosaroll, invece, è la bretella di via Foria e la collega con piazza Garibaldi, la Ferrovia. È la bretella. E piazza Garibaldi invece sono le braghe di Napoli. Fai conto che io abito nella bretella. Che si sta slacciando.

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«E tu dove abiti?»

«Vicino al Giudice di Pace» (risposta legalitaria: abito in una zona sorvegliata, che credi, ci sono i giudici qui)
«A dieci minuti dalla stazione» (risposta migratoria: mica siamo a Napoli, noi andiamo in giro, altroché)
«Quasi a via Foria» (risposta rassicurante: zona centro, popolata, no fear)
«In un palazzo, al quarto piano» (risposta evasiva, ma non sento i rumori dei vicolo se chiudo le finestre e accendo la tv)
«In centro» (drastico, nonsonocazzituoi).

Un luogo ti deve per forza rappresentare. Di te o descrive gli sforzi profusi per arrivarci o la tua forza d'adattamento per restarci.
E che cos'è per me, questa bretella che vedo accesa tutti i giorni pizzeria-rosticceria-bar-macellaio-salumiere-pasticceria e tutte le notti bar-cornettidinotte-pakistano-pakistano-internetpoint, che cos'è, la sintesi ultima del mio spirito d'adattamento da ultratrentenne? O è il massimo che posso fare in queste condizioni, in questa città?

Metaverso napoletano

Qualche giorno fa a porta Capuana stavano girando una fiction o una puntata di Un posto al sole, non lo so.
C'era un'ambulanza di scena, la polizia e uno a terra (il finto ferito).
Quando sono arrivate ambulanza e (finta) volante, ho visto una serie di personaggi avvicinarsi a bordo di scooter al luogo, scrutare, capire e esclamare: «Ma che è, è na puntata ‘e Gomorra?».

Tra i camorrologi che imperversano a ruota libera su giornali e negli scaffali delle librerie qualche anno fa si diceva di come il modo di tenere la pistola – inclinata, quasi capovolta – in Pulp Fiction di Tarantino, avesse influenzato le giovani generazioni di delinquenti.
Avrà influenzato anche la serie Gomorra? Non vorrei entrare nella paranoia ma nel corso di quest'anno ho visto quattordicenni parlare con lo stesso linguaggio – stupido e improprio perché i camorristi non parlano così, sono spesso stupidi, ignoranti, molti sono delle vere bestie – delle serie tv sull'argomento malavita.
Vabbè, sicuramente esagero. E poi non diventano veramente delinquenti. Almeno spero.

Da qualche tempo la zona ha preso altri orari, altre abitudini. Meno gente in alcuni posti, meno in certi orari. Non si desertifica perché la vita poi va avanti e non è che puoi fermarti soltanto per un rischio statistico, peraltro già probabilmente calcolato in altre situazioni, anni prima. Però cambiano determinati atteggiamenti, facce che non si vedono più, spariscono i capannelli di persone in un dato luogo. Girano più carabinieri e polizia: una volta hanno fermato anche noi, era notte e ci hanno tenuti buona mezz'ora. Capita.

Sono le ore 13.17 di domenica 6 settembre. Fuori al vicolo hanno piazzato due batterie di fuochi d'artificio ognuno con 9 lanci in aria. Le hanno accese e sono andati via. È pieno giorno non si vedono i fuochi d'artificio in cielo, si sente solo il rumore che è quel che serve.

«Ma nella zona c'è un ristorante che fa matrimoni? Sento sempre i fuochi d'artificio...».
«No, mamma».

Quei fuochi significano che la piazza di spaccio della zona è stata rifornita ed è aperta. La sera ci puoi regolare gli orologi col bum di mezzanotte.

All'estero, in vacanza, quest'estate, mi sono voluti due drink per rispondere sinceramente ad una persona appena conosciuta: «Dove abito a Napoli? Abito nella zona della faida, hai presente dove hanno ucciso quel meccanico di vent'anni, hai presente dove sui tetti fanno addestramento con le pistole mirando alle antenne paraboliche, hai presente dove hanno fatto la fiaccolata per il morto di camorra dicendo che era morto per colpa dello Stato? Hai presente la storia dei baby boss? Ecco, io abito proprio lì».

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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