Femminicidi, fiaccolate e stupri. Perché la retorica del giorno dopo non serve a nessuno
Non c'è niente da "festeggiare" a Napoli. La giornata internazionale della donna arriva infatti al termine di una settimana di sangue, in cui due donne sono state uccise dalle mani di uomini che sostenevano di amarle. Un'altra invece sarebbe stata stuprata dal branco. Accade tutto a pochi giorni di distanza. La riprova che il male spesso si nasconde nella quotidianità, anche nei luoghi in cui ci si sente sicure e non solo in un ascensore o in "amicizie poco raccomandabili". Chiariamo immediatamente un principio. Chi subisce una violenza, di qualsiasi tipo, non è mai colpevole ma sempre e solo vittima. Una puntualizzazione che sembra banale ma necessaria. Soprattutto in questi giorni, in cui anche uno stupro può diventare oggetto di discussione violenta, dimenticando il fatto più importante: una ragazza di 24 anni, la vittima nella brutta storia di San Giorgio a Cremano, non potrà mai ricucire una ferita del genere.
In questi casi la retorica del "day after", del "abbiamo preso i responsabili" non è una vittoria, ma un fatto dovuto. Perché è nel malcostume del pensare di poter intervenire dopo e non prevenire che si nasconde e cresce il male. Una società che non si interroga sulla scarsa educazione sentimentale, ma solo su spot che non riportano in vita queste donne e non cancellano gli stupri, è una società che non potrà mai far fronte al problema della violenza di genere, o del "femminicidio". L'ultima vittima del machismo è la madre di tre bambini, Fortuna Bellisario. Massacrata a 37 anni dal marito Vincenzo Lopresto, che ha poi chiamato il 118 quando si è reso conto di aver ucciso sua moglie, pare con una stampella che la donna usava per poter camminare.
Dinamica simile è toccata a Norina Matuozzo di 33 anni anche lei madre di due figlie. Le indagini sulla sua morte pare siano state determinanti per l'arresto di Marco Di Lauro. Sono tre i proiettili che non le hanno lasciato scampo. La mano a premere il grilletto, anche in questo caso, è quella del marito. "Omicidio passionale", si leggerà sui giornali poche ore dopo. Ma la passione c'entra ben poco. Il marito si è poi costituito alle forze dell'ordine, presentandosi con un avvocato. Salvatore Tamburrino ha quindi confessato, sostenendo che avrebbe voluto suicidarsi dinanzi alla donna, senza aver mai pensato di ucciderla. La sua morte sarebbe frutto di un "raptus" di follia.
Sarebbe invece stato pianificato il presunto stupro della 24enne di Portici, che si sarebbe ritrovata bloccata nell'ascensore di San Giorgio a Cremano insieme ai tre ragazzi che hanno cambiato per sempre la sua vita. Sono molte le teorie attorno a questo gesto vile, quello dello stupro di gruppo, del branco. C'è chi dice che la ragazza sia stata ingenua, credendo nella volontà dei tre di scusarsi per aver tentato, pare, di molestarla 20 giorni prima.
A piazza Trieste e Trento, il giorno dopo, di fronte la stazione della Circumvesuviana dove si sarebbe consumata la violenza, molti si dicono spaventati da questo stupro, culmine di un clima impossibile per passanti e commercianti. Altri, invece, puntano quasi il dito contro questa ingenua ragazza, "colpevole" di aver preso un ascensore insieme ai suoi presunti aguzzini, estranei o conosciuti che fossero. In una società in cui i padri, i mariti, i fratelli o chi ti è accanto può decidere di ucciderti senza che nulla possa metterti in guardia, è troppo semplice credere che basti evitare un ascensore nel tardo pomeriggio o una strada buia di notte. È una lezione che insegnano a tutte da bambine: quella di guardarsi bene dagli estranei ma anche da chi decidi ti starà accanto. Quasi come a sussurrarti una verità antica e implicita: arriveranno sempre dopo. Mai prima. Arriveranno insieme alle indagini, ai commiati e alle fiaccolate. Ma la verità è sempre e solo una: le candele non basteranno mai.